martedì 9 dicembre 2014


C’E’ STATO UN’ALTRA VOLTA…



C’è stato un’altra volta, in Italia, un cortocircuito dei cervelli. Del resto era prevedibile, già il paese in passato era stato affetto da questa patologia, e la malattia è stata latente per tutto il novecento. Si manifestò abbastanza velocemente, così che nessuno ebbe il tempo di rendersene veramente conto. Si insinuò in maniera subdola, dapprima come paura indefinita trasmessa incessantemente da tutti i mezzi tecnologici d’informazione, poi come odio concreto verso l’oggetto che provocava questa paura. Si propagavano voci incontrollate di zingari che rubavano i bambini e poi li uccidevano, risse tra immigrati ubriachi, spaccio, furti, stupri, il tutto compiuto da stranieri irriconoscenti; vere o false che fossero, non aveva molta importanza.
La poca voglia di riflettere partorì l’idea della pena di morte, ma siccome in periodo di crisi non ci si poteva permette inutili sprechi di denaro, si optò per una soluzione massiva del problema: campi di concentramento privati finanziati dal solerte Stato (che quando si parla di repressione è sempre ben felice di investire i soldi che sottrae all’istruzione e alla sanità); camere a gas e forni crematori come ai vecchi tempi. Lo Stato, a sua parziale discolpa, sostenne che almeno così si davano diversi posti di lavoro e ciò non avrebbe che giovato all’economia. Si decise di recuperare i siti già esistenti, come la risiera di San Sabba, Renicci d’Anghiari, Ventotene; più tardi ne vennero costruiti in luoghi sensibili, come Lampedusa e la Val di Susa (la cui edificazione fu inserita in un decreto legge contro il femminicidio).
Così la macchina della soluzione finale si mise in moto con molta discrezione: i primi furono ovviamente gli zingari, poi i carcerati e gli immigrati che non trovavano posto nel mercato della schiavitù; poi, per una questione di coerenza, tutti gli altri. Fin da subito la gente si sentì più sicura, ma non più tranquilla: vagava per i luoghi del divertimento forzato con un sorriso teso e la mascella serrata; nelle poche ore durante le quali riusciva a dormire, il sonno era costellato di incubi. Finito il target dei condannati, la situazione generale non era per niente migliorata: chi era povero, anche se era italiano, rimase povero e iniziò a prendere il posto di chi era stato sterminato. In più il personale dei campi entrò in sciopero contro tagli e cassa integrazione: si dipinsero come pericolosi sovversivi e divennero i successivi ospiti del loro passato posto di lavoro, insieme a tutti gli altri che nel paese muovevano simili rivendicazioni. I pochi superstiti iniziarono allora a vivere nel terrore, chi emigrava verso l’Africa con i vecchi barconi, non ricevendo una bella accoglienza, chi si suicidò, chi si costituì spontaneamente nei campi. Rimase solo chi comandava in Italia, senza più nessuno da comandare, e non sapevano cosa fare. Si massacrarono l’un l’altro in un reciproco scambio d’accuse, una resa dei conti finale nel piazzale di una zona industriale vicino Milano.



giovedì 6 novembre 2014

LIMITE SONNOLENTA, LA POLIZIA PUO’ SPARARE

Neanche il rumore dei colpi di pistola sono riusciti a svegliare dal loro torpore gli abitanti di Limite sull’Arno. In un clima di preoccupante collaborazionismo e omertà, l’intero episodio è stato fatto scivolare nel dimenticatoio troppo presto. Mercoledì 29 ottobre, un’operazione dei carabinieri di Empoli contro una banda di rapinatori ha prodotto due feriti da arma da fuoco, uno per parte, due arresti e un terzo rapinatore fuggitivo. E’ apparso evidente fin dal giorno dopo che la ricostruzione fatta dai giornali locali conteneva lacune ed omissioni più o meno volontarie, così come le voci che circolavano in paese, tutte molto cinematografiche e consolatorie: una pericolosa banda di malviventi armati forza un posto di blocco, ne nasce un inseguimento, una volante riesce a speronare l’auto rubata, i ladri tentano di fuggire, c’è un conflitto a fuoco con un ferito da una parte e dall’altra, alla fine i carabinieri riescono ad assicurare alla giustizia due dei tre occupanti dell’auto e giurano di essere sulle tracce dell’altro, plauso all’Arma e auguri di pronta guarigione al milite infortunato. Mano a mano che il furore giustizialista, mosso anche da un sincero razzismo (gli arrestati erano di origine albanese), andava scemando, venivano a galla brandelli di verità che non sono mai apparsi sui mezzi di informazione. Per prima cosa, non c’è stato nessun posto di blocco forzato, un’auto di agenti in borghese era sulle loro tracce da molto tempo (erano già scampati diverse volte all’arresto) e una volante era appostata in cima alla strada dove vivevano i tre, in prossimità di una rotonda, dov’è avvenuto lo speronamento (forse un posto poco adatto per bloccare un’auto sospetta, con due vie di fuga libere). Poi i rapinatori non erano armati, nonostante la polizia scientifica abbia setacciato il luogo per due giorni alla ricerca di un bossolo che non fosse stato quello di una pistola d’ordinanza, nel disperato tentativo di dare credito alla tesi della risposta al fuoco. Nell’imbarazzo più totale, non sapendo più che pesci prendere per giustificare una sparatoria contro persone, va bene sospette, ma comunque disarmate, per di più alle nove di sera di fronte ad un ristorante e una scuola di ballo sempre molto affollati, i nostri pistoleros hanno giocato la carta dell’auto che avrebbe tentato di investirli. Le veline della questura, riportate fedelmente dai quotidiani come il Tirreno o gonews.it, parlano di un colpo sparato (a questo punto presumiamo verso l’auto, anche se non ci è dato sapere se la carena o il parabrezza presentino dei fori) che ha ferito un rapinatore al petto e alla spalla (badate, un solo colpo contro una persona seduta da parte di una in piedi) e un altro sparo partito accidentalmente al colonnello Pontillo mentre cercava di evitare di essere schiacciato, e che ha colpito il colonnello stesso ad una coscia; in pratica, si è sparato da solo. Ad una settimana di distanza, l’ultima notizia che abbiamo rimane quella del cambiamento di un capo di imputazione, da tentato omicidio a resistenza a pubblico ufficiale. Per il resto, censura totale. Non una voce critica si è alzata contro l’operato dei carabinieri, che da parte loro hanno tirato un respiro di sollievo e hanno avuto un’altra riprova della loro completa impunità. I cittadini bempensanti si sono ripuliti il mento dalla schiuma provocata dal loro odio cieco, ma resta nelle orecchie il fastidioso fischio di tutti i discorsi gretti e razzisti vomitati dalla gente in questi giorni, una comunità che si sta chiudendo nella conservazione di quei pochi “privilegi da schiavi” che le rimangono, miope di fronte alla rapina delle loro vite e della loro dignità messa in atto da una cricca di affaristi senza scrupoli, alla quale appartiene anche il loro amato PD.

COLLETTIVO ANTIKUNST

lunedì 12 maggio 2014

SCEMO CHI ELEGGE

Dal momento che la politica è diventata (o più realisticamente è sempre stata) la mera amministrazione dei privilegi dei potenti unita al monopolio della violenza, noi già da tempo abbiamo deciso di andarcene al mare il giorno delle elezioni, perché le idee migliori ci vengono quando ragioniamo con le persone a cui vogliamo bene, e non quando siamo nella penombra castrante di una cabina elettorale. Non sappiamo più cosa farcene dei vostri diritti, visto che sono diventati merce di scambio nei confronti di un’ esistenza subdolamente schiavizzata.

Se almeno in città si godono per una serata il divertimento, qui in provincia arriva subito il mal di stomaco della mattina dopo, senza il problema di scordarsi quello che è accaduto perché tanto non l’abbiamo mai vissuto. Tutto appare confuso, filtrato in un immenso calderone di paure, perché si ha sempre paura di quello che non si riesce a comprendere. E’ la patria degli egoismi più biechi, delle falsità più evidenti, dei moralismi più interessati, dove troppo benessere ha assopito la nostra capacità di immaginare un’alternativa. Il quotidiano assume la forma di una caricatura pubblicitaria, in un perverso sforzo per assomigliare a quello che il flusso mercantile vuol farci diventare. I rapporti sociali sono mediati da consuetudini tecnologicamente inutili, mentre i nostri desideri rimangono sfocati nel dimenticatoio dell’esistente. Le parole sincere si strozzano in gola e i silenzi aumentano l’incertezza e allontanano le persone, fino a quando il conflitto si risolverà negativamente con accessi di rabbia distruttiva. La necessità di sopravvivere con l’aggravante di un salario elargito come un’elemosina, occupa la maggior parte del nostro giorno, ci viene negata deliberatamente la possibilità di poter pensare alla nostra condizione di sfruttati e quindi di migliorarla. Provate ad entrare in un supermercato e guardarvi intorno: se eliminate le merci delle quali non avete effettivo bisogno, vi accorgerete che le poche che rimangono potreste farle da voi se solo avreste il tempo di poterle fare, invece di partecipare controvoglia alla loro produzione per il mercato che, dopo avervi stritolato le energie, ti rivende quello che hai prodotto, maggiorato dei costi di imballaggio e trasporto, che prevedono lo sfruttamento di altre persone.