IL SOGNO DI UNA GENERAZIONE
SARA' L'INCUBO DI QUELLA SUCCESSIVA
Alle ultime elezioni in Francia, molti
sinceri democratici si sono potuti lasciar andare ad una delle loro perversioni
più inconfessabili: votare per la destra e contemporaneamente preservare la
propria coscienza da incubi etico-morali, un regalo che questo sistema ha
voluto fare ai propri aficionados in prossimità della sua dissoluzione. E’ così
che il sogno democratico dei nostri padri rivela la sua consistenza, pari a
quella della nebbia. Dal suo diradarsi si mostra una realtà ben poco onirica,
lontana dalla retorica di chi ha interesse a mantenere in vita quel sogno. Il
sistema della crisi permanente del capitale non è più in grado di garantire
anche solo la parvenza della democrazia, ma non sembra curarsene più di tanto.
Basta vedere il caso italiano, da sempre all’avanguardia nello sperimentare
nuove perversioni democratiche, dove da tre legislature stanno governando
individui mai eletti, ma imposti dal sistema economico-finanziario per la loro
malleabilità. Un tratto di penna di un’agenzia di rating ha causato quello che
venti anni di mobilitazioni civili non sono riuscite ad ottenere, cioè mettere
fuorigioco Berlusconi. La bagarre elettorale che si scatena prima di ogni
consultazione non ha niente di politico, è solo uno scontro tra interessi
contrapposti allo scopo di ottenere i posti migliori per legiferare a favore
dei loro gruppi d’influenza, dove tutti sono nella stessa misura ricattabili e
quindi devono stare al gioco. I vari partiti che si trovano a concorrere per
essere eletti (non consideriamo più la distinzione tra destra e sinistra, visto
che l’asse del ventaglio elettorale si è spostata ormai decisamente verso
destra) sono la solita faccia della stessa medaglia, in competizione tra loro
per occuparne una porzione maggiore.
Le nuove generazioni, altamente
spoliticizzate e prive di qualsiasi consapevolezza del loro stato di
sottoposti, subiscono la natura mafiosa e repressiva del capitale come
un’inevitabile fatalità, perché non riescono, almeno per il momento, ad
immaginarsi un’alternativa percorribile. Il dissenso, la contestazione, il
dubbio, sono segregati in delle bolle insonorizzate che si perdono nel caos
delle metropoli, rese innocue dal frastuono della propaganda consumista. Questa
impotenza innesca dei meccanismi di difesa psichica che portano gli individui
ad arroccarsi intorno alle loro misere proprietà materiali, ad atomizzarsi
nelle proprie case alla luce pallida di un monitor, unico sollievo ad una noia
che rischia in ogni momento di diventare mortale. Non è per paura che la gente
non esce la sera, è perché non saprebbe davvero cosa fare. Nel prossimo futuro
la sola cosa democratica sarà la miseria, quindi converrebbe iniziare a pensare
a come rapportarsi alla nuova situazione, invece di illudersi e continuare a sperare
in una “ripresa”, che non arriverà mai più. Il caso del fallimento delle banche
ce lo ha mostrato chiaramente: una porzione sempre maggiore di popolazione sta
diventando sacrificabile di fronte alle esigenze del capitale, i “garantiti”
sono sempre meno e si apprestano a instaurare una moderna aristocrazia.
Dopo gli ultimi attentati di Parigi, uno
dei commenti più comuni e ottusi uscito dalla bocca di ogni idiota che si
ergeva a paladino della civiltà occidentale, è stato: - Non cambieremo il nostro
stile di vita! E’ proprio questo uno dei problemi: continuare a distruggere il
pianeta e sfruttare la maggior parte della popolazione mondiale per mantenere
in vita un sistema opulento e disumano, pensando di non dover mai pagare le
conseguenze di quelle azioni, è quantomeno poco lungimirante, nonché egoista e
razzista. E’ in atto, nell’informazione generalista, una vera e propria
educazione al razzismo, che influenza la percezione dell’opinione pubblica nei
confronti dello “straniero” e del “diverso”. Vengono enfatizzati oltremodo i
crimini (anche se inventati) commessi da immigrati, meglio se clandestini, nel
tentativo di far ricadere qualsiasi colpa della nostra miseranda esistenza sul
mostro straniero, di volta in volta disegnato come barbaro, incivile, fanatico,
misogino. Un giornale come Repubblica si è sentito in dovere di specificare più
volte che l’uomo col fucile giocattolo alla stazione Termini di Roma era “un
italiano”, dopo che lo stesso giornale, all’inizio di tutta la faccenda, era
quasi certo che si trattasse di uno straniero (quindi, implicitamente,
terrorista islamico). Tralasciando per un attimo la pessima figura fatta dalle
forze dell’ordine in questa vicenda (che comunque nessuno si è permesso di
criticare), queste costanti allusioni interessate portano ad episodi di isteria
collettiva, come quelli seguiti all’evacuazione della stazione, e più in
generale ad un clima di paranoia perenne che influenza i rapporti nel
quotidiano. Sentimenti di diffidenza e più o meno aperto disprezzo sono ormai
sdoganati nei discorsi pubblici, anche da elementi che si considerano
“progressisti” (- Io non sono razzista, ma…, è una delle spie di questa deriva
d’intolleranza). Ai governi tutto questo non può che far piacere, gli permette
di nascondere la loro incompetenza e malafede dietro le foglie di fico delle
emergenze varie, che offrono la sponda per giustificare leggi sempre più
repressive, stati d’eccezione che diventano la regola e, nel lungo periodo, gli
interventi militari di cui il capitalismo ha un gran bisogno per svuotare i
propri arsenali. Un altro sogno che diventa incubo (l’informazione) in quanto
rimane inscritto in un sistema i cui rapporti di forza sono determinati da
imperativi economici. Quando i sogni, le speranze, le illusioni non trovano uno
sbocco pratico che sia reale e allo stesso tempo totalizzante, che riguardi
cioè ogni aspetto del vissuto e porti al superamento del sistema nel quale si
formano, il capitalismo avrà sempre gioco facile a recuperarli e dargli un
valore di scambio che ne annulli l’eventuale potere sovversivo.