SULLE MENZOGNE
CHE GOVERNANO IL PRESENTE
(E
SULL’OPPORTUNITA’ DI DISFARSENE UNA VOLTA PER TUTTE)
I – Un debole
pensiero
In un’afosa
domenica di luglio, la signora S. sedeva fuori vicino alla porta di casa
all’ombra di un olmo. Il paese era deserto dopo l’ora di pranzo, da dietro le
persiane sbarrate non si sentiva nessun rumore, giusto qualche ronzio, forse un
ventilatore acceso, ma poteva benissimo essere qualsiasi cosa. Una lieve
brezza, come un asciugacapelli al minimo, smuoveva l’aria calda e portava da
lontano le grida indistinte di bambini che giocavano in una piscina. In un
momento non molto diverso dagli altri, alla signora S. apparve chiara
l’assoluta inutilità della vita e delle azioni che fino ad allora aveva
compiuto. Sedette inerme, lo sguardo sbarrato verso l’orrore, e in un battito
di ciglia ogni elemento intorno a lei stava deperendo, le case divennero ruderi
e gli alberi seccarono; crateri si aprirono nella terra ribollendo di un magma
scuro e nel cielo saette radioattive sfolgoravano come tante stelle cadenti.
Istintivamente raccolse una piccola falce lì vicino e iniziò ad incidersi la
gola. Voleva staccare quella testa che aveva visto la fine del mondo, dal suo
corpo che fino ad allora non ne aveva avuto nessun presagio. Ben presto la signora
S. recise la giugulare che esplose in fiotti di sangue scarlatto, e cadde dalla
sedia lunga sulla strada, ormai cadavere. Un gatto che aveva osservato tutta la
scena, si avvicinò alla pozza rossa vicino al corpo della donna e azzardò un
paio di leccate; quindi tornò indietro andando a sdraiarsi sotto una panchina,
provato dal caldo.
Nello stesso
istante, in un’ altra parte del mondo, un ragazzo perse la verginità assieme
alla donna che amava dietro le dune di una spiaggia dell’estate. Si
abbracciavano rotolando sulla sabbia che rimaneva attaccata al sudore dei loro
corpi, inebriati da una felicità senza nome. Quell’orgasmo fu la rivelazione
della meraviglia della vita, fiori colorati presero a spuntare tutto intorno,
nella bocca si spanse un dolce sapore di vaniglia, e gli sembrò che si
sprigionasse dal corpo di lei un intenso profumo di lavanda. Il cuore pompava
come uno stantuffo, la mente leggera, un sorriso ebete si stampò sul suo viso;
gli parve che i Primal Scream stessero suonando nelle sue orecchie. Tra tutti i
pensieri che gli invasero la mente, ci fu anche quello che probabilmente non
sarebbe stato mai più così bello, ma non fece presa sul suo stato d’animo e
finì nell’oblio della memoria. Un vecchio che stava passeggiando col nipote li
vide e li redarguì con male parole. I due fuggirono ridendo dal loro nido
d’amore, tentando di coprirsi come meglio potevano.
Le vicende qui
descritte sono i due estremi della gamma di sensazioni che è possibile provare
nella vita. La rarità con la quale ambedue si manifestano dovrebbe far
riflettere. Molte persone, in seguito a ragionamenti differenti, maturano
l’idea del suicidio come unica via di fuga da un problema ai loro occhi
irrisolvibile; ma sono pochi quelli che danno seguito a questa intuizione.
Dall’altro lato, tutti scopano ma solo alcuni si lasciano vincere completamente
dal piacere e dall’empatia con il proprio amante. Tutto ciò che ci distrae dai
nostri desideri produce un’incertezza costante che subiamo tutti i giorni con
rassegnato disincanto. In una società il cui unico scopo dichiarato è
l’abbondanza delle merci, i desideri sono un articolo poco spendibile, in
quanto la loro produzione non prevede lo sfruttamento di nessuno, risultando
quindi scarsamente funzionale al fine accumulativo. Il percorso formativo di
ogni individuo è minato alle fondamenta da questa mistificazione pronta ad
esplodere in tutta la sua ambiguità. Individuare e squarciare il velo
ideologico che, come una cappa di fuliggine, ricopre l’esistenza, appare oggi
lo snodo principale per raggiungere la consapevolezza della nostra illusoria
condizione di falso benessere.
II – “Non mi
uccise la noia, ma la sua persistenza”
Una volta
Hemingway disse che bisognerebbe scrivere solo di quello che si conosce, nella
maniera più semplice possibile. Perciò sarebbe inutile e scorretto parlare di
guerre e carestie, alta finanza e
bioetica. La nostra quotidianità procede su livelli banali e apparentemente
senza conflittualità. In provincia, lontano dai grandi luoghi di concentrazione
abitativa, si respira un’atmosfera sorniona, quasi oppiacea: gli anni si
susseguono senza rimarchevoli cambiamenti, le relazioni appaiono cristallizzate
in credenze ancestrali e superstizioni stregonesche (“A me mi garba il mio
paese, perché non succede mai nulla”, ebbe a dichiarare un vecchio
democristiano poco prima di morire). Ogni tanto un efferato fatto di cronaca
scuote dal torpore i suoi abitanti in un impeto reazionario, dettato più dal
primitivo bisogno di rimarcare il territorio che da una comunque rudimentale
idea di giustizia sommaria, in ogni modo destinato ben presto ad essere sopito
dalla routine. Questi episodi isolati sono il culmine negativo di una
situazione insostenibile, le azioni di individui disperati che non comprendono
altra risposta se non quella della violenza istintiva. I mezzi di informazione
se ne servono per i loro biechi scopi di tiratura editoriale, consolidando allo
stesso tempo queste suggestioni retrograde. Sebbene servano a mettere a nudo la
frustrazione e il fastidio verso un’idea di mondo della quale non si riesce a
comprendere le finalità, queste eccezioni rientrano nel generale e
apparentemente immutabile clima di noia che ammanta ogni cosa e riempie come
poliuretano espanso i pochi spazi lasciati vuoti dagli eccessi della
produzione. La noia diventa una presenza tangibile che ti segue per tutto il
giorno, in ogni occupazione quotidiana, dettando i tempi della sopravvivenza. La
si può trovare in famiglia, a scuola, nei centri commerciali, nei locali
notturni del divertimento forzato; il posto di lavoro rimane senza dubbio il
suo luogo preferito. Ogni qual volta la meccanicità del nostro agire ci isola
dalla nostra volontà, la noia trova la conferma della sua ingerenza nelle nostre
vite, quindi di una formale ammissione della sua necessità. Ce ne serviamo per
giustificare la velocità compulsiva della modernità, per evitare una
discussione che preveda una presa di posizione definitiva, o quando i desideri
rischiano di sconvolgere la tranquilla abitudine dello status quo, posticipando
la loro realizzazione verso un futuro indefinito che ogni volta si allontana
dal presente.
La noia non
coincide, come verrebbe da credere, con l’inazione. Al contrario, spesso un
eccesso di movimento è sintomo di un’insofferenza verso tutto ciò che ci viene
intimato come imprescindibile. Svolgere del lavoro straordinario, partecipare
ad eventi mondani, in generale le azioni che usiamo come riempitivo delle
nostre giornate tutte uguali, servono a sostituire i reali bisogni dei quali
siamo stati espropriati e che non riusciamo più a distinguere. Non li
riconosciamo, ci sono diventati estranei, e quando per caso ne individuiamo
uno, la parte razionale ce lo fa apparire come un colpo di testa, un’esuberanza
della nostra libidine. “Bisogna fare quello che bisogna fare”, non esistono
margini di trattativa. Con una condotta scellerata, c’è pericolo di intaccare
l’organizzazione sociale dell’apparenza, e con essa la riproduzione della noia.
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