DENTRO LA STORIA
Quando studiamo
la Storia, al di là della prospettiva dalla quale la osserviamo, siamo pervasi
da sentimenti comuni e, in una certa misura, condivisi. Spesso è il sollievo
determinato dal fatto di non aver partecipato a eventi sanguinosi e tragici;
altre volte il rimpianto e la nostalgia di quello che ci siamo persi. Mano a
mano che i fatti presi in considerazione diventano più recenti, sale in
proporzione anche l’inquietudine, specialmente per situazioni parzialmente
irrisolte e problematiche giunte fino al nostro presente. Quando poi il
presente in cui viviamo è destinato a diventare Storia, e avvenimenti inediti
hanno bisogno di un’interpretazione anch’essa inedita (verso la quale i nostri
strumenti critici non riuscirebbero da soli a trovare una definizione
soddisfacente) a quel punto siamo costretti ad abbassare la guardia e fare i
conti con le nostre più profonde convinzioni. La Storia non mente, a differenza
degli storici, e questa sua sincerità ha costretto da sempre le classi dominanti
ad affrontare gli eventi inediti mostrando la loro vera faccia, meschina e
violenta. Gli attentati di Parigi, il fronte più avanzato in occidente
dell’odierna guerra asimmetrica, obbligano i vertici del capitalismo e i suoi
tirapiedi ad adottare, in un modo o nell’altro, delle contromisure. E,
considerando la posta in gioco, la reazione sarà tanto spietata quanto ottusa e
dannosa. I governanti saranno impegnati a tenere a bada l’isteria dell’opinione
pubblica, che con la propria inerzia continua a legittimarli, e si spenderanno
in proclami bellicosi e conservatori fuori tempo massimo. La finanza e le
grandi concentrazioni di capitali avalleranno queste posizioni mettendo a
disposizione la loro linea di fuoco mediatica: giornali e televisioni continueranno
a professare paura e insicurezza, e ci sarà sempre qualche vomitatoio digitale
per sfogare i propri istinti irrazionali. D’altra parte, non c’è niente di
meglio di una bella guerra mondiale per risollevare un’economia stagnante e
nello stesso tempo arginare il problema della sovrappopolazione.
Una cosa è
certa: l’ignoranza è un lusso che non ci possiamo più permettere. Forse era
accettabile negli anni ottanta, quando da dentro la gabbia dorata a ovest del
muro intravedevamo smaniosi un futuro di merci democraticamente opulente (no,
neanche allora era accettabile, anzi non è mai accettabile). Non possiamo
ignorare che i fiori all’occhiello del capitalismo italiano vendano armi
all’Arabia Saudita, al Kuwait, che a loro volta finanziano i gruppi terroristici
esecutori delle stragi di Parigi, così come di Beirut e Ankara. Bisogna
ricordarsi che ogni volta che facciamo benzina è come se armassimo il fucile,
di orgogliosa fabbricazione occidentale, che un giorno o l’altro potrebbe
ucciderci. Non possiamo continuare ad ignorare l’ignobile doppio gioco della
Turchia di Erdogan, che sta impunemente massacrando i popoli curdi forte del
ricatto di due milioni di profughi siriani da sguinzagliare verso l’Europa. Non
si può far finta di niente nei confronti delle rivendicazioni del proletariato
cinese, che si sta presentando alla cassa per riscuotere il conto. E, in
definitiva, non possiamo continuare ad ignorare oltre la sofferenza della
maggior parte della popolazione mondiale, mentre cerchiamo di convincere noi
stessi che questo sistema si riprenderà e tutto tornerà come prima. La
prospettiva eurocentrica è una lente sfocata che inquadra soltanto ciò che non
provoca turbamento, e lascia il lavoro sporco ai mercenari reclutati tra gli
indigenti e indottrinati all’ideologia del profitto, di fatto una delle due
contendenti se si vuol considerare quella attuale come una “guerra di
religioni”.
Quando i
rappresentanti dei governi invocano lo stato di emergenza, la chiusura delle
frontiere, ulteriori fondi per gli apparati di polizia e difesa, hanno già ben
chiaro in mente contro chi verranno usate queste misure: contro i migranti, gli
sfrattati, i movimenti di contestazione e in generale contro qualsiasi forma di
dissenso si manifesti sul “fronte interno”. Perché gli attacchi terroristici
sono un fatto periodico e occasionale, ma le tensioni sociali sono quotidiane.
E’ dall’attentato di New York che viene utilizzato questo giochino, e sembra
che molti ancora non lo abbiano capito. E’ da quella data che le democrazie
liberali si stanno spostando sempre più verso destra, puntando dritte verso lo
stato di polizia, che sembra l’unica forma di governo in grado di gestire,
reprimendole, le contraddizioni del capitalismo. La madre dei Salvini e dei Le
Pen è sempre incinta, e i suoi figli si stanno intruppando per rinverdire
quella comoda voglia di fascismo che è sempre stata latente in Europa, quella
voglia di ordine che da sempre è aspirazione e completamento della borghesia.
Può essere
difficile da accettare, ma al momento la nostra forza sta nella nostra
disperazione: non esiste una motivazione altrettanto convincente. Deve essere
però una disperazione lucida e creativa, che ha ben chiara la fisionomia dei
veri nemici: il nemico è di classe, non di razza. Si dovrà essere in grado di riconoscerlo
anche quando si cela dietro vantaggiose offerte monetarie, quando si fa scudo
dei buoni propositi mentre fa solo gli interessi del suo gruppo di influenza,
quando ci vorrà persuadere a morire per qualcosa di diverso dalla possibilità
di godere della nostra vita. Il proletariato ha attraversato momenti molto
peggiori di questo: ciò che gli manca adesso, fra le altre cose, è la
consapevolezza nei propri mezzi e la certezza dei propri obiettivi. E’ inutile
aspettare oltre un dio o un’ideale, soltanto noi saremo in grado di rendere
reali i nostri desideri perché noi conosciamo il modo di farlo. Non sarà per
niente facile, ma sicuramente ne varrà la pena.
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