NON VE NE SIETE ACCORTI? STATE GIA’ INIZIANDO A
MORIRE
E’
oramai palese l’esiziale fallimento del capitalismo avanzato e della sua
proposta democratica. L’evidenza del suo inevitabile declino è possibile
constatarla quotidianamente: la necessità di una politica monetaria votata
all’usura; la sempre più violenta repressione delle interferenze
anti-utilitaristiche che derivano dai naturali desideri delle individualità,
che sfociano nell’insorgere delle perversioni moderne, siano esse sessuali o
esistenziali; la razionalità fordista allargata ai ritmi della vita quotidiana,
che obbliga le persone a muoversi da un centro di concentramento all’altro (dai
centri di produzione economica ai centri di consumo totale, col conseguente
azzeramento dei momenti di tempo e spazio liberi); il goffo e quasi ridicolo
tentativo di difesa dei privilegi aristocratici da parte dell’élite consumista,
la stessa che detiene l’esclusività dei diritti, derivata dalla paranoica
esegesi di vecchie teorie auto-compiacenti (“Ho un lavoro, quindi merito dei
diritti”, come se alimentare questo sistema omicida con le forze vitali
strappate alla soddisfazione dei desideri personali meritasse un premio
democratico). Il primo decennio di questo XXI secolo è un periodo molto triste:
i veicoli a motore possiedono più spazio unitario di quanto non ne abbia un
fanciullo per giocare e rivelare la propria personalità; i governi degli stati
si adoperano ogni istante per risanare immaginari debiti con banche usuraie,
mentre il popolo, che, secondo la propaganda repubblicana, dovrebbe essere il
suo mandante, sopravvive ignorante nella razionalità delle periferie-magazzino,
stipata in torri parallele come merce in esubero. I centri commerciali sono
il risultato conclusivo di una parabola secolare di accerchiamento e
svalutazione della vita vissuta: l’utopia del capitalismo finalmente
divenuta realtà, una costruzione eccessiva che possiede al suo interno la democratica
possibilità di soddisfare qualsiasi bisogno indotto, un monumento
all’in-estetica della razionalità che diminuisce in modo realisticamente
ultimativo le distanze tra un consumo e l’altro, depauperando le occasioni di
creazione di situazioni che permettono all’individuo di godere della propria
esistenza. Per l’imperialismo capitalista i centri commerciali sono la meta;
per i situazionisti sono non-luoghi da visitare ubriachi provocando le offese
dei non-vivi che li frequentano; i situazionisti sono consci dell’ineluttabile
quanto vicino crollo di queste strutture di concentrazione sub-urbana: è per
questo motivo che invitiamo tutti a sbarazzarsi quanto prima dalla dipendenza
dalle merci inutili, per non rimanere intrappolati nella imminente decostruzione
delle sceneggiature della società dello spettacolo, e riappropriarsi
immediatamente dei luoghi lasciati vuoti dal moto centripeto delle merci; i
situazionisti vi propongono la creazione collettiva di una nuova concezione
della vita che metta al centro degli interessi dei viventi la piena e continua
soddisfazione dei desideri, una costruzione di situazioni basate sul gioco e
sul rovesciamento delle prospettive, per dare forma finalmente
all’inarrestabile desiderio delle nostre voglie più sincere.
NON
ABBIAMO DA PERDERE CHE LE NOSTRE INIBIZIONI!
SEZIONE LIMITESE DELL’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA
I FANTASMI NON ESISTONO
“Divenuti colpevoli, inventarono la giustizia …”
Dostoevskij
La
pronta reazione dei fidi ciellini all’affronto subito dal Papa nel proprio
vescovato assume agli occhi di un osservatore attento la forma dell’impotenza
rabbiosa a difesa di un’ideologia che già da molto tempo ha visto sgretolarsi
la propria auto-referenzialità. Tanto più che i motivi assurti a spiegare la
loro indignazione sono estremamente intercambiabili: non ci risulta che il
cattolicesimo sia quel campione di tolleranza e rispetto che essi vogliono
farci credere. Se una delegazione situazionista entrasse in una chiesa e
chiedesse al padrone di quel luogo un dibattito circa l’appartenenza di Gesù
alla setta degli Esseni, o il significato di “asino” attribuito alla parola
“cristo” nella lingua aramaica antica (tutti fatti storicamente comprovati),
essi verrebbero cacciati in malo modo e maledetti con strani riti. A parte
queste facili accuse e polemiche da cabaret, che vista la loro evidenza diventa
quasi sleale sottolineare, non si dovrebbe perdere di vista il nucleo della
questione, tra l’altro ben mascherato dallo sterile spettacolo costruito dal
regime mediatico italiano: il rinnovato vigore con il quale la chiesa cattolica
torna a pretendere il controllo delle coscienze. Il vero obiettivo
dell’aristocrazia religiosa non è, come spesso viene dichiarato, la difesa
della parola di Dio di fronte agli attacchi del relativismo o la riaffermazione
dei valori cristiani, ma sono ben altri. Ciò che essi difendono è la morale
cattolica, il sistema ideologico che propaganda la sopportazione della
sofferenza, il rispetto delle buone maniere e delle gerarchie, l’inclinazione
al perdono, tutti atteggiamenti che i preti di ogni sorta si guardano bene
dall’osservare, ma che il “gregge” deve seguire, perché funzionali alla classe
dominante della quale il cattolicesimo è sempre stata espressione diretta. L’altra
motivazione ha un carattere più “secolare” e riguarda l’economia delle anime: i
vertici vaticani, da buoni imprenditori delle ostie quali sono sempre stati (le
investiture, l’invenzione del purgatorio con relativa svendita di indulgenze,
il feticismo dei santi, lo smercio delle immagini sacre, e ultimamente il
vergognoso business attorno alla figura di Padre Pio) si sono accorti del calo
percentuale dei credenti (o creduloni), principalmente rispetto ad un’altra
costruzione immaginaria, l’islamismo. La reazione si è manifestata soprattutto
a livello mediatico, dopo il beneplacito concesso dal “popolino” durante i
funerali del vecchio Papa polacco, lo stesso che da fiero cappellano militare
forniva le estreme unzioni ai desaparecidos in Cile e ai musulmani in
Jugoslavia, unito al particolare contesto storico, che ha visto il liquefarsi
delle vecchie ideologie novecentesche che permettevano ai padroni di
sottomettere le masse. Le religioni si sono adoperate prontamente per riempire
questo vuoto con la loro straordinaria duttilità, che le ha fatte sopravvivere
nei millenni. Ma la classe dirigente non può più starsene tranquilla: il popolo
è cresciuto e non ha più paura dei fantasmi.
COLLETTIVO ANTICLERICALE “THOMAS MUNTZER”
SOUS LE PAVE’ IL Y A LA PLAGE
1968: Un manipolo di
guerriglieri dell’immaginazione prende in ostaggio le antiche strutture mentali
borghesi torturandole con la fantasia e l’affermazione della vita. Gli operai
scioperavano selvaggiamente e occupavano le loro prigioni, le vecchie querce
scolastiche si sfrondavano di pesante disciplina, in America si faceva
all’amore e la mente si apriva verso l’infinito; il Vietnam bruciava di
bagliori arancioni che cancellavano migliaia di My Lay, in Cina l’uno diventava
due e un libretto rosso faceva la fortuna di molti editori; in Italia
l’aristocrazia post-boom imparava cosa voleva dire aver paura e Moravia veniva
eclissato da pagine in ciclostile; si creò un’altra Germania in bilico sopra il
muro, mentre in Francia si cercavano spiagge sotto il selciato e si
scandalizzava i borghesi. Alla borghesia non piacque l’affronto subito, perché
alla borghesia non piacciono le cose belle, non le capisce e la fanno sentire
stupida: attaccata com’è all’inutilità materiale del proprio benessere. Con i
suoi miseri strumenti si presenta alle urne votando in massa De Gaulle e
armando democraticamente la restaurazione poliziesca. Il sessantotto è stato
uno dei rari momenti nella successione di eventi chiamata storia nel quale la
gioventù ha agito come classe sociale ( idea già elaborata dai dadaisti
tedeschi negli anni venti e che Pasolini non riuscì a capire). Questo non
piacque neppure al potere che, estremamente disciplinato, governa solamente per
l’inattaccabile vantaggio di essere nato prima. Il sessantotto ha avuto uno
svolgimento del tutto particolare: è stato immediatamente represso, poi
dibattuto, mistificato e miticizzato nel cielo splendente della metafisica, per
essere infine saccheggiato, normalizzato e commercializzato dall’opulenza
capitalista fino ai giorni nostri. Oggi, nel quarantesimo anniversario
della sua dipartita, possiamo leggere il suo epitaffio in formato compatto su
supporto magnetico, mostrando così il definitivo soffocamento di ogni sua eco
rivoluzionaria. Sembrò subito evidente che le idee anti-autoritarie, che la
contestazione lanciava come molotov verso gli aperitivi delle vecchie élite
corporative, non potevano funzionare in una società che avesse mantenuto, anche
in minima parte, gli antichi metodi di subordinazione. Una società che ha
bisogno di milioni di morti ogni giorno per affermare la propria magnificenza
eleggendo se stessa nella menzogna dell’infinito progresso. La
povertà dei mezzi, o forse la malafede (vigliaccheria?) di una certa parte, non
hanno permesso l’affermazione delle sincere pratiche di godimento della vita
che il sessantotto conteneva. E le estemporanee critiche odierne, in questi
tempi di revisioni e restaurazioni, assomigliano alle reazioni invidiose di chi
in quegli anni non seppe andare contro i propri padri o chi, ancora più
meschinamente, li usò come palestra per sottomissioni successive. Con il
sessantotto, la critica alla società dello spettacolo è diventata spettacolo
essa stessa, si è elevata a paradigma della rappresentazione irreale della sua
divisione che allo stesso tempo afferma la sua reale unità.
“SE OTTO ORE VI SEMBRAN POCHE…”
Metamorfosi kafkiana di un operaio in catena/e
Finalmente
le oscillazioni del mercato hanno creato un picco di produzione che vi
permetterà di trovare un lavoro in una splendida catena di montaggio e provare
a pagare almeno l’affitto e un pasto decente al giorno. Vi recate allegri ed
entusiasti come ogni volta che una novità stuzzica la vostra immaginazione, al
primo giorno di lavoro in una qualsiasi fabbrica di oggetti inutili e dannosi e
vi rendete subito conto, nonostante il debordante ottimismo e il vostro non
credere alle prime impressioni, che il posto presenta diverse imperfezioni
stilistiche, non produce un buon rumore e neanche un buon odore, e si insinua
piano piano in voi, così come il pulviscolo velenoso, la certezza che ciò che
respirate non è precisamente taumaturgico per il vostro corpo, nonostante le
raccomandazioni dei responsabili, che assicurano che le emissioni rispettano in
pieno i magici parametri di Maastricht (cioè medie algebriche che permettono
agli individui non di stare bene, ma di non stare troppo male, di sopravvivere
quel tanto che basta per non rischiare di abbassare l’età media europea).
Basteranno due giorni e la vostra capacità di adattamento si dilaterà come il
polistirolo che producete, permettendovi di sopportare i ritmi di una macchina
d’acciaio spersonalizzante con cui non potete discutere, e quei fischi nelle
orecchie e quei grumi di polvere immagazzinati nei vostri bronchi che vi erano
sembrati tanto odiosi. Intanto, mentre la vostra mente si predispone per
l’insensato e il ripetitivo, producete in serie uguale stupidi oggetti di
valore d’uso pari a zero che si andranno accumulando e rubando spazi di
esistenza all’umanità, sempre più incasellato in compartimenti stagni a misura
di modernità. Ma in fondo vi reputate fortunati, vi potrete permettere il nuovo
dvd d’ultimo grido e finire di pagare l’auto (che ovviamente avete acquistato
per potervi recare al lavoro), sarete costretti a tifare per una nazionale per
non essere considerati dei sobillatori e addirittura concedervi una settimana
di vacanza a Viareggio, dove rimarrete imbottigliati nel traffico sulle
autostrade e mentre andate a far spesa alla coop. A questo punto, se siete
sopravvissuti (migliaia sono i morti ogni anno provocati dall’immenso genocidio
organizzato dal mercato), il vostro contratto a tempo determinato scadrà e un
messo del padrone vi comunicherà, con molto senso dell’ironia, che un calo
della produzione non permette di reinserirvi nell’organigramma aziendale:
rimarrete storditi a rimuginare sulle oscure trame del capitalismo e vi
domanderete per quale motivo il padrone stava per investirvi con la sua nuova
fuoriserie diretto al porto per imbarcarsi sul suo lussuoso yacht.
MA QUALE DIALOGO? NON ABBIAMO NULLA DA DIRCI,
PADRONE!
Scintillanti
rievocazioni spettacolari cercano di rivalutare il deterioramento di un muro in
quel di Berlino, mentre con la stessa dedizione si tace sugli altri muri eretti
negli ultimi venti anni. La libertà, o meglio la sua rappresentazione sotto
marchio registrato brevettato dall’occidente, è servita al capitalismo per
sostenere la sua presunta superiorità nei confronti di un altro prodotto
gerarchico, senza che ciò abbia mai portato a significativi miglioramenti
qualitativi per il proletariato inconsapevole. Dopo la caduta di questa falsa
dualità a causa della consunzione di una parte, che è stata la riprova più
evidente della perfetta unità di intenti, il cosiddetto mondo libero non si è fatto molti scrupoli nel recuperare
tutti gli elementi più repressivi dello stalinismo e di tutte le sue varie
correnti esauste (così come aveva già fatto con il nazifascismo), depurandoli
dei loro aspetti più immediatamente truculenti, e allo stesso tempo
falsificando fino agli estremi la propria idea di libertà come garanzia di
superiorità, esportandola poi come una delle sue tante merci scadenti. Dopo un
decennio di assestamento e riordino degli equilibri del potere mondiale, stiamo
assistendo ora alla nuova costruzione di inediti nemici che dovrebbero
minacciare questa libertà, vale a dire la possibilità per i padroni di
mantenere i propri privilegi e continuare a garantirsi lo sfruttamento del
proletariato inconsapevole. E tutto ciò sia in scala globale che nazionale: le
torri gemelle, il fondamentalismo islamico, l’immigrazione illegale, le minacce
nucleari. Queste locuzioni così incisive, costruite ad arte per il formato
tabloid, riecheggiano quotidianamente sui mezzi di informazione, ormai
completamente asserviti al potere, come litanie di una moderna guerra santa. Si
fa un gran chiacchierare della repressione in Iran, quando non ci accorgiamo
che l’Iran è ovunque: l’Iran è in fabbrica e sui luoghi di lavoro, l’Iran è
sulle strade, l’Iran guida la civetta della repressione poliziesca, l’Iran è al
Vaticano, l’Iran è stato a Genova e in tutte le piazze dove non è possibile
contestare, l’Iran è in televisione dove si glorificano i personaggi
importanti, nel tentativo di convincerci che le nostre vite siano completamente
inutili e indegne di essere vissute, arrivando implicitamente a consigliarci il
suicidio. L’ottimismo, la felicità immotivata, il lusso ostentato, la bellezza
costruita, sono soltanto aspetti della propaganda del capitalismo totalitario;
la morte, il dolore, la noia, sono la realtà che viviamo ogni giorno sulla
nostra pelle; così come la fantasia, la solidarietà, la spontaneità, l’amore,
sono le prerogative del proletariato in attesa della rivoluzione, e dovranno
essere le armi della resistenza dei popoli contro chi cerca di costruire
l’immenso carcere dentro al quale ci vogliono detenere.
LA
RIVOLUZIONE SARA’ ILLEGALE, O NON SARA’.
COMITATO D’AZIONE “NESTOR MACKHNO”
NON ESISTE CRISI CHE NON SIA LA CRISI DEL
CAPITALISMO
Il voltafaccia si compie.
La vita ha ceduto il potere
All’alleanza del cadavere e dell’oggetto.
(Chlèbnikov)
L’ennesima
réclame di una falsa crisi di un capitalismo già da lungo tempo in agonia è da
sempre, almeno dall’invenzione dello stesso, presa come pretesto dalla classe
dominante per cercare di mantenere i propri esosi livelli di benessere,
sfruttando il plusvalore dei sacrifici imposti alla massa inconsapevolmente
proletaria: sono secoli che quest’ultima sta vivendo una crisi, precisamente
dal momento dell’invenzione della proprietà privata e dell’accumulazione
speculativa. Le demagogiche richieste riformiste di una certa sinistra
post-stalinista non hanno, a nostro avviso, le possibilità di migliorare
qualitativamente le misere condizioni degli sfruttati: non c’è nessun bisogno
di sterili illusioni che rimandino ad un futuro prossimo (che non diverrà mai
presente) gli urgenti problemi quotidiani di sopravvivenza. La soluzione non è
risollevare la produzione per creare nuovi posti di lavoro sempre più precari e
nuove merci sempre più scadenti e inquinanti, ma è viceversa permettere a tutti
di usufruire del tempo della propria vita liberato dall’obbligo del lavoro
salariato, indipendentemente dall’andamento dell’economia capitalista, che è
per definizione iniqua, settaria e inumana. La colonizzazione del tempo libero
attuata dall’apparato propagandistico della società dello spettacolo (cioè
tutto ciò che la tecnocrazia usa come mezzo per la rappresentazione della falsa
realtà di un finto benessere) dovrà essere uno dei più incombenti campi di
scontro nel quale contrastare il vecchio regime dominante. Ciò dovrà avvenire
partendo da dei semplici punti fermi:
1) Riportare
la lotta per le strade e nei luoghi di lavoro e di ritrovo, cioè nella realtà,
e non relegarla in un’indefinita rete cibernetica mondiale che direttamente
continua a nutrire l’economia che esclude;
2) Perseguire
la pratica dell’IMMAGINAZIONE DI CIO’ CHE E’ POSSIBILE e defilarsi dalla
prospettiva del potere, che non farebbe mai niente per nuocere a se stesso;
3) Boicottare
e sabotare l’apparato istituzionale pseudo-democratico, che altro non è se non
una variazione, edulcorata nella forma, di un qualsiasi regime dominante.
Le
attuali vicende greche insegnano a chiunque voglia imparare che il candido
recinto della legalità non è altro che un mezzo per la conservazione dei
privilegi della classe dominante: la violenza dei compagni greci è solamente la
resistenza alla violenza che viviamo quotidianamente sulla nostra pelle. La
violenza della repressione poliziesca, degli assassinii sul lavoro, dei cibi
avariati e inquinati, della distruzione sistematica della natura,
dell’inibizione dei desideri che causano le malattie psicologiche e i suicidi,
degli ospedali pieni di epidemie di tumori, delle strade sempre più simili a
camposanti, della noia che siamo costretti a sopportare in un sistema in
evidente stato di decomposizione (la società dello spettacolo, che per
prolungare la sua agonia non trova niente di meglio che inscenare all’infinito
la propria decadenza, e dove l’importanza di un accadimento si misura in base
al numero di telecamere che lo hanno ripreso). La crisi è soltanto nella nostra
testa: riappropriarci del nostro vissuto quotidiano e disporne liberamente,
queste dovranno essere le parole d’ordine dei prossimi conflitti sociali. “Per
un mondo di godimento da guadagnare, non abbiamo da perdere che la noia”.
2011: C’E’ BEN POCO DA FESTEGGIARE
"...lo sai, che
quell'idiota di Graziani farà una brutta fine..."
Cosa c'è di più patriottico,
per commemorare l'unità d'Italia, di un bel revival della guerra in Libia?
"Tripoli bel suol d'amore", sembrano cantare i motori dei Tornado in
viaggio verso sud. E cosa si poteva aspettare di meglio il camerata La Russa,
per poter sbavare il suo odio cieco nel mezzo di questo svolazzare di pezzole
tricolori? In questi tristi giorni di festa, nei quali nessuno si è divertito,
la retorica nazionalista ha vomitato i suoi microbi ovunque sia stato
possibile, nel suo classico contorno di noia istituzionale alla quale siamo
stati abituati sin da bambini. Con Garibaldi in esilio a Caprera, Mazzini morto
da clandestino a Pisa con un nome inglese, è stato tutto un risuonare di
traviate e inni inutili. Ma c'è un anniversario ben più importante da
ricordare, tanto più vicino nel tempo quanto più vigliaccamente dimenticato.
l'omicidio da parte del braccio armato dello stato, di Carlo Giuliani a Genova,
così da rammentarci che siamo il paese che ha dato i natali a Bava Beccaris e a
tanti altri "patrioti" dal grilletto facile. Questo è solo un
promemoria.
SOLIDARIETA’ AGLI ARRESTATI DI
SORANO
E' facile sputare sentenze quando si sente di essere dalla parte
del più forte? Trovate piacere una volta tanto a provare la sensazione di
onnipotenza che deriva dalle regole inventate dagli uomini? Lo chiedo a voi,
concittadini appena benedetti dai vostri santoni preferiti, chissà come vi
impietosirete quando vedrete l'appuntato con una benda sulla faccia o se
disgraziatamente da tutta questa faccenda ne uscirà un morto. A scanso di
equivoci, noi non stiamo cercando di giustificare il gesto (siete talmente
bravi a leggere quello che vi fa più comodo...), ci stiamo solo domandando
dov'è la vostra indignazione quando (e succede molto più spesso di quanto voi
crediate) le parti si invertono e i sacchi neri si chiudono sulle facce di
tanti ragazzi uccisi dai manutentori dell'ordine costituito. Il nostro dolore
per i feriti è pari a quello che loro hanno provato sparando a sangue freddo a
Carlo Giuliani a Genova, massacrando Marcello Lonzi e Stefano Cucchi in
carcere, uccidendo per la strada Federico Aldovrandi a Ferrara, giocando a fare
i cecchini con Gabriele Sandri e quel writer di Como, e tutte le altre volte
nelle quali gli sbirri si sono sostituiti alla morte e hanno deciso che quelle
vite non erano degne di essere vissute. La loro solerzia nel reprimere l'esuberanza
giovanile è direttamente proporzionale al servilismo con il quale omaggiano i
potenti. I sociologi possono evitare di sprecare tanto inchiostro: niente
succede per caso, e anche i bravi ragazzi a volte si accorgono che c'è qualcosa
che non funziona in questo perverso ordinamento chiamato democrazia.
SULLA NECESSITA’ O INEVITABILITA’
DELLA VIOLENZA
Salutando con complicità rivoluzionaria quest’inverno di rivolte,
nel Mediterraneo così come in tutta Europa, vorremmo elencare alcune
considerazioni utili se all’improvviso dovessimo esser presi per incantamento
verso la sovversione dell’ordine capitalistico. Dopo la giornata del 14
dicembre scorso a Roma, alcuni professionisti della contestazione hanno fatto a
gara a dissociarsi e, con il completo appoggio dell’informazione controllata
dal potere, accusare i cosiddetti facinorosi di danneggiare, oltre alla
sacralità della proprietà privata, anche la protesta degli studenti. Black
Bloc, infiltrati, terroristi: tutto questo sfoggio di paranoia per un po’ di
semplice ed innocente ginnastica rivoluzionaria. Quello di cui non si rendono
conto, i cosiddetti pacifisti, è del danno che causano loro al movimento di
protesta, avallando le tesi menzognere che il potere sostiene per legittimare
sé stesso. Nei periodi prerivoluzionari, e più in generale, sempre, non bisogna
mai dare ragione alla controrivoluzione qualsiasi cosa dica, mai ammettere un
errore se te lo fa notare il potere, costantemente negare gli attacchi
dell’informazione uniformata. Troviamo estremamente positiva l’assenza di
ideologie che caratterizza il movimento di protesta attuale, ma riteniamo che
sia utile ristabilire dei concetti che rimangono alla base delle rivolte, e
rimarcare il giusto valore dei crimini, così chiamati dalla repressione
legislativa odierna. Per esempio, vandalismi e devastazioni sono soltanto la
reazione della vita che si trova di fronte alla grigia estetica contemporanea
fondata su un urbanismo coercitivo; i furti, le rapine, servono solo a
ristabilire il vero valore del denaro e delle merci, cioè nullo. Non ci risulta
che i partigiani, così tanto idolatrati da questi nuovi pacifisti che citano
costantemente la Resistenza, abbiano sconfitto i fascisti con i cortei non
violenti e mettendo i fiori nei loro cannoni. Noi, da inguaribili edonisti
quali siamo, non sentiamo assolutamente la necessità di azioni violente fini a
sé stesse, ma al contempo, ci rendiamo conto della vastità degli interessi
capitalistici, dell’assolutismo della sua propaganda, e dell’inevitabilità di
una rottura per affermare il cambiamento radicale dell’esistenza. Le parole
hanno una forza nascosta a seconda del loro utilizzo: la loro sofisticazione
negli spazi determinati dal potere (televisioni, giornali, pedagogia scolastica,
apparati statali e religiosi e tutto ciò che si trova incluso nella società
dello spettacolo) ha determinato il suo successo di consenso. Perciò, se
veramente cerchiamo il cambiamento radicale che costantemente urliamo nelle
piazze, dobbiamo ripristinare il significato originale delle parole e darle un
senso nuovo, funzionale ai nostri obiettivi. Quando l’ipocondriaco nazista
Maroni, con il suo vestito verde da pagliaccio, invoca come il fantasma di un
cadavere la democrazia e le sue leggi per poter comminare pene severe a chi
contesta violentemente, dimentica di dire che quelle leggi hanno la loro base
in un sistema violento, e che quella cosiddetta democrazia è stata sostenuta
fino ad oggi da repressione, menzogne, omicidi, stragi; senza contare che il
suo datore di lavoro è un pluripregiudicato latitante difeso da un apparato
parastatale armato di voti dalla mafia (ma qui scadiamo nel ripetitivo, e non è
il nostro stile). Alla luce di questa nuova esegesi, chi è il violento adesso?
Il confine è sottile, ma decisivo. Che ci piaccia o no, siamo in una guerra
dichiarata dalle classi privilegiate contro il resto dell’umanità: non
l’abbiamo voluta noi, e dobbiamo pur difenderci, la violenza è inevitabile.
Preferiamo veder rotolare la testa di qualche plutocrate in un lago di sangue,
piuttosto che dover partecipare di nuovo al funerale di un nostro amico.
MANIFESTO MESOPOTAMIA
“Quando la realtà si fa immagine perde ogni pretesa di
verità e diventa una delle sue tante rappresentazioni”
E’
da qui, tra il Tigri e l’Eufrate di una realtà asettica e monomorfa, che
riesumiamo il cadavere di Dada. E’ un cadavere in ottimo stato di
decomposizione, la terra è rimasta fertile e ha permesso ai suoi miceli di
prosperare per miglia. Dada rimane dove non si può vedere, alle spalle
dell’arte pronto a sgambettarla senza pietà, quella stessa arte che piace a
tutti e permette ai suoi produttori di apparire sui rotocalchi patinati
esibendo larghi sorrisi e sguardi rassicuranti. In questi tempi, tempi di
onerose alleanze tra arte e mercato, il gusto estetico viene elaborato
elettronicamente tramite una trama di possibilità oggettive e un ordito di
convenienze economiche: quello che si forma è l’illusione dell’arte,
un’immagine inconsistente che sfiora la memoria senza intaccarla e annoia i
sensi dopo un superficiale esame, e allo stesso tempo riempie d’orgoglio i suoi
produttori che gongolano nel mezzo di nuove definizioni ed etichette da
brevettare. Il rumore assordante degli sbadigli che proviene dalle areate
stanze dei musei ha risvegliato Dada, il cadavere elegante che si aggira di
nuovo con il suo suicidio all’occhiello, pronto di nuovo a proclamarsi
presidente lanciando carta igienica dal suo balcone, accettando ancora di farsi
orinare addosso dichiarando la sua infallibilità: quando la vostra ultima opera
verrà battuta sul registratore di cassa della dissoluzione dell’arte, Dada, il
grande giudice della Storia, emetterà la sentenza di morte nei confronti del nuovo
processo di conformazione. Dada, circondato da una pioggia di fiori, fluirà
gioioso lungo le strade urbane e nei castelli occupati, soffocherà la noia con
un nuovo scandalo gaudente, pulirà le sue scarpe sozze sugli zerbini del potere
ammettendo la sua volontà di diventare papa.
Dada,
l’installazione mobile che non teme agenti atmosferici…
MANIFESTO INUTILITARISTA
E’
con irragionevole sdegno e malcelato ottimismo che lanciamo l’invettiva contro
la dittatura dell’utile: in una società in cui tutti sono utili e nessuno è
indispensabile, noi rimarchiamo la nostra orgogliosa inutilità. Dopo duecento
anni di ricerca dell’utile, siamo ormai pronti a ricevere i frutti della nostra
inutilità. Leggiamo dal Dizionario Inutilitarista: “Inutile: qualsiasi gesto,
azione, parola, fotomontaggio, dipinto, barzelletta non recuperabile dalla
menzogna capitalista, che anzi sia per essa deleteria”. Uno dei terreni di
scontro irrinunciabile per gli inutilitaristi è il lavoro: il lavoro, inteso
nel senso capitalistico di impiego forzato di individui per il raggiungimento
di un utile, è inevitabilmente destinato all’estinzione. Ne osserviamo ogni
giorno la crescente decomposizione, sono finiti i tempi nei quali il
capitalismo era costretto a reclutare lavoratori perché c’erano lavori da
compiere. Il punto di rottura è avvenuto, adesso è costretto a creare lavori
perché ci sono dei lavoratori, le irrimediabili crisi celate dietro la parola,
sempre alla moda, “disoccupazione”, non sono altro che le continue ammissioni
del carattere temporaneo del capitalismo. Non siamo in grado di prevederne i
tempi, troppe variabili incontrollate ce lo impediscono, ma la fiducia che ciò
avverrà guiderà le nostre azioni inutili fino al raggiungimento dei nostri
obiettivi. Immaginate che una eccezionale tempesta elettromagnetica metta fuori
uso tutti i server del pianeta. Le persone, abituate a servirsi di internet per
comunicare, informarsi, conoscersi, difficilmente rinunceranno a farlo da un
giorno all’altro, e saranno costrette a cercare altri modi che ne garantiscano
comunque la gratuità: questa sarebbe una variabile funzionale all’azione
inutilitarista. In ogni modo, bruciando le illusioni, il cambiamento avverrà
nel quotidiano, “Chi parla di rivoluzione senza riferirsi al quotidiano, ha un
cadavere in bocca”, saranno i piccoli gesti di ogni giorno che determineranno
la velocità del crollo dell’utilitarismo, il nostro acerrimo nemico. Le
pratiche della gratuità e del dono, rese di fatto illegali da una società che
contabilizza i desideri per rivenderli al miglior offerente, dovranno essere
depurate dalle loro scorie di propaganda commerciale e, in un generale
slittamento di prospettiva, tornare a essere ciò che sono sempre state, cioè
azioni disinteressate in un contesto amoroso che abbia come unico fine il
raggiungimento dei desideri. Nella fiera multimediale dell’odierno sembra che i
segreti siano stati banditi dalla realtà, ma di fatto ne esistono di
inconfessabili che la classe attualmente dominante cerca con ogni suo sforzo di
far rimanere tali. Basterà un semplice cambiamento del punto di vista a
smascherarli, manomettendo le serrature delle gabbie nelle quali stiamo vivendo
in cattività. Un ignorante ricco è un ricco, ma un ignorante povero rimane pur
sempre un ignorante: rendersi conto della nostra condizione di inutilità in un
mondo che ricerca soltanto l’accumulazione e non l’affinamento delle
sensazioni, ci libererà degli obblighi e delle paranoie che disturbano la
nostra mente. Un tragitto controvento è sempre il più lungo, ma l’inutilità è
necessaria, il progresso la implica.
INUTILITA’ E’ AFFINAMENTO DELLA CRITICA.
COLLETTIVO ANTIKUNST
ANTIKUNST: L’INUTILITA’ AL SERVIZIO DELLA
RIVOLUZIONE
Ciò
che cerca ANTIKUNST è il superamento della condizione umana di sottomissione,
per riaffermare con ogni mezzo la centralità dei desideri del vivente in
opposizione alla loro effimera rappresentazione spettacolare. Denunciando la
politica delle emergenze adottata costantemente dal sistema democratico-borghese,
ANTIKUNST si adopera per affermare la sola vera emergenza, cioè la dissoluzione
immediata della dittatura della noia e della banalità che sta governando la
nostra esistenza. ANTIKUNST non è una provocazione: non cerchiamo pubblicità
perché non abbiamo niente da vendere, l’unico successo che ci interessa è
quello della nostra vita. ANTIKUNST non vuole creare una novità nella
costruzione plastica per riarredare qualche insensato museo nazionale o entrare
nel mercato dell’arte dalla porta principale: vogliamo introdurci nottetempo
nelle strutture capitaliste per svaligiarne la falsa apparenza e il dannoso
entusiasmo, e sostituirli con la nostra costruttiva inutilità. L’azione di
ANTIKUNST è mirata a far coincidere l’immediato con le speranze, l’attimo con il
ricordo, la realtà con il sogno, l’istante del vivente con il desiderio di
beatitudine. Non abbiamo velleità progressiste (per questo non leggerete mai un
nostro scritto su “la repubblica”…), ma la nostra attenzione è focalizzata sul
presente: vogliamo tutto quello che ci spetta, qui e ora, perché siamo vivi e
ciò è già di per sé sufficiente. ANTIKUNST non deve giustificare la sua poetica
attingendo dalla cloaca delle attuali referenze spettacolari: la sua esistenza
è giustificata dalla Storia, è la naturale evoluzione umana del desiderio.
DIECI ANNI FA, DIECI ANNI DOPO
Fatalmente,
dopo dieci anni di menzogne e terrori, la reazione capitalistica sta ricevendo
i suoi frutti malati: le menti squilibrate dalla sofisticazione spettacolare si
stanno armando per la santa guerra europea contro la liberazione dal giogo
mercantile. Quella messa in atto in Norvegia da uno dei tanti bracci armati del
Vaticano è una strage voluta, inseguita dai vertici del capitalismo mondiale,
che dal 2001 stanno cercando di creare un nemico fittizio a cui dare tutte le
colpe del proprio atteggiamento criminale. Il massacro di Genova, e subito dopo
il crollo manovrato delle torri gemelle, furono il punto di partenza della
controffensiva mirata a disgregare sul nascere i movimenti radicali che si
stavano formando nel ventre dell’Impero: dopo l’inaugurazione di un millennio
che doveva consacrare nell’eternità la schiavizzazione capitalista, una nuova
generale presa di coscienza attraversò l’occidente, instillando qua e là il
dubbio e la perplessità nei confronti delle rappresentazioni della realtà
fornite dalla classe dominante. La ferocia insensata da belve frustrate quali
apparivano le forze dell’ordine fasciste italiane, con l’avallo della politica
mondiale, non è giustificata se non dalla paura che la presa di coscienza
divenisse definitiva, e il crollo dell’economia di mercato avvenisse per
l’azione consapevole dei suoi sottoposti e non, come succederà inevitabilmente,
per la propria decomposizione. La portata storica della repressione di quell’assalto
al potere non è ancora stata ben elaborata dall’umanità, grazie alle
dissimulazioni che vennero attuate allora, e che continuano tutt’oggi, dei
mezzi di comunicazione asserviti al capitale. Molte sono state le prove di
stupidità e servilismo fornite in questi ultimi dieci anni dai giornalisti
stipendiati dai grandi editori e da chi controlla la cosiddetta opinione
pubblica: la progressiva velocizzazione delle notizie sta tradendo in ogni
occasione la malafede di questi squallidi personaggi che, in una patetica gara
alla ricerca dell’effimero successo mediatico, si affrettano a costruire le più
utili menzogne funzionali al potere. Ciò è successo anche per quanto riguarda
la strage di Oslo: la demenza interessata di Feltri e dei suoi camerati fuori
dal tempo e le sbavate del maiale Borghezio, il marciume filo cattolico
vomitato dal Corriere della Sera e da tutti i giornali occidentali, compresa la
Repubblica con le sue velleità progressiste staliniste; ma anche l’inverosimile
rivendicazione dell’integralismo opposto, ormai marionetta armata nelle mani
delle mire concorrenziali delle cosiddette “economie emergenti”. L’alternativa
della rete sta dando risvolti positivi nella ricerca delle verità continuamente
insabbiate, ma le crescenti difficoltà con le quali i gestori la ostacolano
(non dimentichiamoci che internet è un mezzo ancora in larga parte in mano al
mercato e che da esso ancora dipende), può far correre il rischio che la sua
fruizione rimanga nelle possibilità di un élite specializzata, e che il
carattere virtuale possa far distogliere l’attenzione dalla realtà materiale
(d’altra parte, è sempre un frutto della società dello spettacolo, e in quanto
tale, destinato a marcire).
Pochi
mesi dopo Genova, quasi come per distoglierne l’attenzione, la strage di New
York fu strumentalizzata dal potere capitalista per far credere all’umanità
intera che i suoi unici nemici erano chi aveva buttato giù le torri, e non
anche chi le aveva costruite. Tutto ciò fornì il pretesto (costruito o no, non
siamo ancora in grado di dirlo, ma a molti quel attacco ha ricordato Pearl
Harbour) per una nuova stretta sul controllo sociale e un rilancio in grande
stile di un’economia esausta tramite il vecchio trucco delle guerre, quindi con
l’esaurimento degli arsenali e l’ennesima corsa al riarmo, con la devastazione
e la ricostruzione delle zone dei conflitti, e tutto l’indotto che ciò
comporta. Esautorata anche questa infame risorsa, ormai l’economia si trova di
fronte ad una grande crisi strutturale che implicherà quasi sicuramente una
restaurazione dei propri obiettivi, senza comunque intaccare i privilegi, che
ne sono sostanzialmente l’ideologia fondante. Il proletariato, che in tutto
questo scenario rimane ancora una figura marginale, ricoprirà il ruolo dello
sparring-partner che con i suoi sacrifici imposti alimenterà la propria
sottomissione. Ma nonostante tutte queste manifestazioni di prepotenza del
capitalismo, la presa di coscienza si sta di nuovo facendo largo dopo un
periodo di assopimento causato da un benessere castrante e mistificatore, e si
prepara compatta verso le nuove scadenze della lotta: la resistenza dei
compagni greci di fronte ai ricatti mercantili dell’Unione dei banchieri
europei, la difesa del territorio naturale che sta riunendo le varie realtà
antagoniste in Italia, le banlieue che bruciano in Francia, e tutte le altre
prove di intolleranza verso un potere che ormai ha gettato la maschera e non è
più in grado di sofisticare la propria realtà di fronte al debordante desiderio
di vivere rivendicato in tutte le sue forme dall’umanità. “Il proletariato ama
la festa, non la battaglia”, ed è questo il suo obiettivo, ciò che ama.
SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI DELL’INTIFADA
PERQUISITI
Succede
che, nella “rossa” Toscana divenuta sempre più grigia per le speculazioni
edilizie, un pubblico ministero non trovi nient’altro di meglio da fare che
perseguitare due persone per il solo fatto di aver retto uno striscione e, con
metodi degni della Gestapo, sequestrare materiale poco commerciabile e quindi
assai pericoloso. Le perquisizioni arbitrarie eseguite a San Miniato ai danni
di due compagni dell’intifada si inquadrano nel solito progetto provocatorio
dell’ordine costituito, atto ad innervosire il movimento di opposizione al
sistema, tanto più alla vigilia di una scadenza importante come il 15 ottobre.
Quello che determina il balzo in avanti della repressione sta nell’eccessiva
fumosità delle accuse, e che la legge si arroghi il diritto di difendere un
gruppo neo-nazista come la Lega Nord, che nonostante tutto il clamore che
sollevano le sue infantili bravate, non è altro che l’ennesima variazione della
proposta democratico-spettacolare che sta svendendo se stessa. E’ da un po’ di
tempo che il potere in tutte le sue sfaccettature sta serrando le fila per
cercare di arginare la protesta sociale che serpeggia nel paese e che rischia
di intaccare i suoi privilegi, aiutato in questo dai nuovi diligenti legalisti
quali dipietristi, renzisti, Travaglio, Saviano, Grillo e tutti gli altri
evocatori della giustizia in odore di prossime elezioni. E’ sempre il solito
dilemma: è giusto ribellarsi a delle leggi inventate dai padroni per i padroni
che detengono il monopolio della violenza e lo usano per i loro criminosi
scopi? Quello che sta succedendo da anni in Val di Susa è emblematico, per non
parlare della situazione degli immigrati, e più in generale il rinnovato
nervosismo bellicoso delle forze dell’ordine, che non stanno perdendo occasione
per sfoggiare le loro moderne armi repressive (e poi dovremmo provare compassione
se non hanno la benzina per venirci a picchiare…). La giustizia si fa
spettacolo quando indaga Berlusconi e il suo rivoltante circo, ma si fa
spietata quando non ha nulla da ricavare dalle sue vittime. La nostra
generazione lo ha visto a Genova e lì ha perso la sua innocenza, quindi non ha
più paura di essere giudicata colpevole dalla vostre leggi.
L’UNICO
VERDE CHE CI PIACE E’ QUELLO DELLE NOSTRE COLLINE! (e della marijuana…)
“QUESTA SI CHE E’ INDIGNAZIONE!”
Scritta su muro, piazza s. giovanni, roma, 15 ottobre 2011
Partiamo
da un dato oggettivo: le ultime tre manifestazioni di una certa rilevanza
nazionale si sono concluse, con differenti dinamiche, con scontri violenti. Il
14 dicembre gli studenti hanno portato avanti il proprio percorso di
autogestione della lotta inaugurando la resistenza popolare nei confronti delle
nuove politiche economiche; il 3 luglio in Val Susa la resistenza si è
consolidata ed estesa alle province dell’impero usate come cantieri speculativi
dalla mafia capitalista; il 15 ottobre il corteo degli indignati ha concluso in
maniera creativa un pomeriggio di sole e una passeggiata altrimenti inutile. Il
dato statistico invita a considerare la costanza e l’ampliamento dei soggetti
implicati nella lotta: ciò sta a significare che la strada della mobilitazione
permanente sta dando i suoi frutti e, viceversa, si può constatare il
fallimento della propaganda mercantil-spettacolare la quale, nei giorni
seguenti alle manifestazioni, ha messo in moto il proprio esercito di delatori,
detrattori, demistificatori, democraticatori, a quanto pare inutilmente. Anche
stavolta, ne siamo certi, tra una settimana l’informazione di regime si sarà
già dimenticata del 15 ottobre, tornando ad occuparsi di delitti morbosi o
dell’altalena delle borse o di qualsiasi altra cazzata che distolga
l’attenzione dalla realtà quotidiana. E’ vergognoso come giornali considerati,
come dire, “riformisti(?)”, quali la repubblica o l’unità abbiano affrontato la
giornata del 15 ottobre, appoggiando senza uno straccio di critica le tesi
statali, e creando ad arte notizie sfacciatamente false, soltanto per lisciare
il pelo al circolo dei propri lettori “pacifisti” e cercare di allargarlo ai
moderati, magari anche cattolici. Nella bara di Gandhi non è rimasta che la
polvere, e i moderatori che vorrebbero cortei di persone inermi più che
indignate, hanno già avuto la loro risposta nella piazza di San Giovanni.
Comunque, al di là dei proclami di tolleranza zero (o intolleranza massima, che
è uguale) o leggi speciali vomitati dal fascista Maroni e dagli altri suoi
camerati, l’unico interesse che proviamo nei confronti dei discorsi di questa
gentaglia riguarda l’opportunità o meno di finire in galera: il solo motivo per
il quale le loro voci hanno una qualche influenza su di noi è che ancora si
riservano il diritto di decidere della nostra libertà per i loro luridi scopi,
difesi in questo da un esercito di canaglie che non si fa scrupoli ad attaccare
persone disarmate (i momenti più pericolosi del corteo di sabato sono state le
scorribande dei blindati tra la folla, e a nessuno è sembrato fossero senza
benzina…).
Per
il resto, dobbiamo considerare l’idea di portare avanti un discorso
radicalmente alternativo, che si defili completamente dalla prospettiva
mercantile e che si alieni dalle logiche spettacolari, una pratica quotidiana
di rifiuto di uno Stato ormai marcescente che è impossibilitato a garantire una
risposta alla crisi che ha aiutato a produrre, e della legislazione, che altro
non serve se non a conservare i privilegi di chi quella legislazione l’ha
creata, non certo per scopi filantropici, ed ha interesse a mantenerla tale. Se
veramente ne siamo consapevoli, sarà un gioco costruire sulle macerie di
un’economia mafiosa che affama i suoi sottoposti, sarà una Liberazione
rifiutarsi di obbedire e ascoltare soltanto i propri desideri. Bisognerà
iniziare anche un’analisi sull’efficacia delle manifestazioni nella loro
concezione classica: se questa è la tendenza, alla fine ci faremo male sul
serio, i nostri nemici sono sempre più equipaggiati e sono della stessa pasta
di israeliani, o iraniani, o siriani o di qualsiasi altro sbirro nella storia
del mondo. Quando si deciderà una mobilitazione, proviamo ad attuare la pratica
della festa diffusa, momenti di socialità senza fine lucrativo, musica a tutto
volume, il gioco di vivere che si sgancia dalle etichette e dalla ripetizione
frustrante, brindiamo al presente e lasciamo che i lacrimogeni vengano usati
solo in giochetti omoerotici da caserma. La vita è nostra e ne dobbiamo godere,
il resto sono solo discorsi.
ACCELERARE IL FALLIMENTO DEL CAPITALISMO
Con
le insoddisfacenti dimissioni del capo della mafia e il conseguente varo di un
governo di neo-democristiani, militari e strozzini, si è consumato con
l’ennesimo fallimento un’opportunità di
cambiamento auspicato da larghi strati della società civile. Adesso il patetico
teatrino della politica protrarrà la sua agonia con i suoi giochini di potere,
scandali mediatici e compromessi economici ai danni dei ceti più deboli di
questa falsa democrazia che in questo caso come non mai non ha avuto voce in
capitolo nella scelta dei propri aguzzini. Un governo che cercherà con una
serie di criminali tentativi di salvare un manipolo di delinquenti che da anni
speculano sulla vita delle popolazioni mondiali: non esiste crisi che non sia
la crisi del capitalismo, e le principali vittime di essa saranno coloro i
quali non hanno nessun interesse affinché questa crisi si risolva. Ci rendiamo
conto che il periodo storico non è dei più favorevoli: l’apparato repressivo
non è mai stato così potente e destinato a giocare un ruolo determinante nel
mantenimento dell’ordine capitalista, il genocidio sistematico dell’umanità
viene usato costantemente per combattere l’aumento della popolazione mondiale
(malattie mortali, disastri naturali, guerre inutili fomentate da separazioni
inesistenti, le cosiddette “fatalità”, ecc…); ma se veramente fallisse
l’economia mondiale, cosa potrebbe succedere di negativo? Si guasterebbe il
cibo? I mezzi di produzione non funzionerebbero più? Crollerebbero le case?
Niente di tutto ciò, basterebbe resistere alla reazione frustrata degli attuali
padroni del mondo, e poi non ci sarebbe più l’obbligo di sottostare ai ricatti
di un mercato iniquo e settario, non si dovrebbe più lavorare sottopagati per
mantenere i privilegi di classi inutili come quelle dirigenziale e
spettacolare, non ci sarebbe più bisogno di condurre una vita nella paura del
futuro ma godersi il presente nella piena consapevolezza dei propri desideri. Il
capitalismo è la più grande truffa perpetrata ai danni dell’umanità: perciò
bisogna sabotarla, boicottarla, rivoltarla, portare avanti l’immaginazione di
ciò che è possibile, fino a quando essa esploderà vittima delle proprie
contraddizioni.
COMUNICATO N. 3: PIOVE, GOVERNO TECNICO!
Il
liberismo è il proseguimento del nazismo, con altri mezzi. Non vi annoieremo
oltremodo con analisi sul tempo presente e sulla situazione economica, già in
troppi lo fanno: ci interessa di più la nostra felicità e l’avventura reale per
raggiungerla. Quando parliamo di felicità intendiamo un’idea nuova in occidente
come nel resto del globo, qualcosa che sembra non interessi più nessuno. Una
critica totale alle condizioni esistenti di controllo dell’intrattenimento,
verso la decolonizzazione del tempo libero e la liberazione delle nostre
esistenze dal lavoro e dalle dittature degli stati. QUESTO VUOL ESSERE SOLTANTO
UN PROMEMORIA, niente di innovativo o progressista, perché troppa merce
scadente ci sta facendo perdere la concentrazione dai nostri desideri. Nessuna
nuova teoria, ché finirebbe su qualche polveroso scaffale nella biblioteca di
un feticista delle avanguardie. La perversa sodomia che ci sta governando non
riuscirà mai più a rifarsi una verginità, non ne ha più le condizioni, non ha
più lavori da farci fare perché non ha mai considerato la tragedia della
sopravvivenza nella sua interezza. Vogliamo dare una passata di colore e gioco
alla critica che l’umanità sta muovendo verso le cause della sua miseria, cercando
il senso di una costruzione che non sia soltanto sedativa ma che debelli
completamente la malattia. La colonna sonora dell’assalto alle nostre
prerogative esistenziali, con Kim Gordon alla voce e Chuck Berry alla chitarra:
questo vogliamo scrivere. E’ ora che i nostri sogni acquistino la consistenza
della realtà, e noi tutti siamo le persone più adatte a portare a termine
questo scopo. Siamo il particolare che diventa il protagonista, l’attimo
perfetto che diventa la storia. L’urgenza rivoluzionaria è impellente come la
voglia di pisciare, e non possiamo esimerci dal farla.
L’IMPOTENZA FASCISTA IRROMPE DI NUOVO SULLE
PAGINE PATINATE DELL’ATTUALITA’
Ancora
una volta il vero spirito italico si proietta sulla realtà quando è sicuro che
l’antagonista sia abbastanza debole: i fascisti sono tornati ad ornare di nero
l’attualità con la loro ideologia di morte proprio adesso che il potere si vede
costretto a produrre un surplus di violenza per farsi accettare, difendendo
così i propri figli un po’ inquieti come bambinetti viziati. L’ignoranza
monitorata della società dello spettacolo ha creato i presupposti per questo
improbabile revival, decostruendo la memoria storica in funzione di
un’accettazione acritica del regime veterodemocratico; l’estremizzazione delle
pratiche disciplinari sulla totalità della vita ha legittimato la perversione e
la brutalità dei rapporti sociali; il controllo dei mezzi d’informazione da
parte dell’élite capitalista fomenta le rivalità tra le masse schiavizzate da
lavori sempre più inutili con il conseguente sviluppo degli atteggiamenti
paranoici di sospetto, pregiudizio, invidia, odio; la continua repressione dei
desideri naturali dell’essere umano causa eccessi di aggressività
principalmente nei confronti di bersagli indifesi.
Nonostante
l’informazione di regime prema con tutta la sua prima linea di fuoco per far
passare gli omicidi fascisti di Firenze come gesta di uno squilibrato, la
realtà dei fatti mette a nudo la formale impunità di cui godono le formazioni
di estrema destra e il loro ruolo di braccio armato funzionale al sistema
capitalistico. Niente succede per caso, e anche questo episodio ha radici
lontane, in una guerra civile interrotta troppo presto e in una riabilitazione
troppo veloce e interessata, che ha permesso ai fascisti di appoggiare governi
dai quali hanno sempre ricevuto privilegi, in cambio di una propaganda razzista
che ha sviato le masse proletarie dall’individuazione dei propri veri
nemici. Il fascismo è lo stato mentale
del potere, è la negazione della vita per puro egoismo materiale, è la
distruzione dei desideri per far posto all’odio accecante manovrato dalle
gerarchie capitaliste, è la difesa del regime disciplinare e panoptico che ci
sta trasformando in grigi automi parcellizzati. La proliferazione di gruppi
fascisti (lega nord, casa pound, e altre comitive di squallidi benpensanti)
sono il frutto del processo di atomizzazione delle gerarchie che ci vorrebbe
tutti a guardia della morale borghese (il vecchio concetto di cittadino-soldato
dell’età classica); le nuove squadracce dall’abbigliamento androgino imbastite
di cocaina rinunciano a vivere in nome di un cameratismo ottuso e inutile,
sublimando le loro voglie soffocate in un’esplosione di violenza vigliacca
strumentale al potere. La faccia tosta del camerata Iannone, ras delle
squadracce di casa pound, è allo stesso tempo ridicola e rivelatrice della
natura di questi idioti gendarmi dell’ordine e dell’italica patria: la sua
paura è giustificata, gli schieramenti si stanno delineando. Da una parte chi
continua ad accettare ed adagiarsi su questo sistema di sfruttamento della
sopravvivenza in tutte le sue forme, dall’altra chi ha intenzione di farla
finita con le logiche gerarchiche e la “cultura del lavoro”, con ogni mezzo
necessario; tra chi ha paura di vivere e chi ancora deve iniziare a godere
della propria vita liberamente. Noi siamo pronti allo scontro: vedremo se gli
orgogliosi petti di questi novelli Graziani saranno preparati per
l’appuntamento con le loro responsabilità, o se la loro ideologia di morte li
seppellirà nel letamaio della storia dove meritano di marcire.
COLLETTIVO ANTIKUNST
2012: ANNO INTERNAZIONALE DELLA RI/EVOLUZIONE
I
sopralluoghi sono finiti: la prossima rivolta sarà anche l’ultima.
L’unica
crisi che ci interessa risolvere è quella dei nostri desideri: nonostante tutte
le Forze della Repressione Unite (FRU-FRU) premano con tutti i loro
cacciabombardieri per provocare la terza guerra mondiale, non si sono ancora
resi conto che non troveranno mai abbastanza comparse per accelerare i loro
neutroni, e tutti i loro soldi questa volta non gli serviranno sullo sfondo
dell’estinzione del genere umano.
L’anno
è iniziato con buone notizie: Tremaglia e Verzè stanno concimando la terra,
l’albero del potere sta perdendo le foglie e quelle nuove sono già gialle.
Assaltare
le piazze Tahrir dell’esistenza e defenestrare le giunte militari custodi della schiavitù, dispensatrici di
tristezza.
“Che
torni l’amore ad illuminare le nostre giornate, e non tristi bagliori al neon e
funghi radioattivi!”, così parlò Wilhelm Reich dalla mensa di carità.
Imbandiamo
le tavole per la resistenza all’inverno, in attesa della primavera proletaria
quando Benjamin offrirà fumo di qualità ai ribelli stanchi. NO ALLE
SPECIALIZZAZIONI, SI’ ALLE SPECIALITA’.
“Forse
non sarà l’ultimo inverno, altri ne seguiranno:
quando
tornerò da te, amore, Maggio sarà fiorito e l’assedio sarà finito,
ti
scriverò solo parole dolci e cancellerò tutte le imprecazioni,
anche
i sogni saranno verdi e l’arte sarà la nostra vita…
E se la mia vita dovesse
finire prima del grande freddo,
non desidero una vendetta, ma una maestosa festa:
imbandite le tavole con
frutti succulenti e date inizio alle danze;
raccontate ai bambini di
quando saranno felici.”
La
nostra presenza sugli elaborati elettronici è soltanto un passaggio in attesa
del loro inevitabile superamento, non vogliamo diventare solo un megabyte e
finire in una discarica di silicio africana. Noi siamo la realtà, e la nostra
inutilità è qui a dimostrarlo.
Quest’
anno non ci sono ricorrenze particolari, tocca a noi dare un senso a questo
numero, riappropriamoci del volano della storia e viriamo in direzione ostinata
e contraria.
Non
leggete i giornali, ma ritagliatene i titoli e disponeteli come più vi piace:
ben presto diventeranno realtà…
Un
urbanismo eccessivo ed insolente ci ha fatto dimenticare quanto siamo belli, ci
hanno murati vivi nelle galere metropolitane, hanno coperto il cielo impedendo
ai nostri sogni di sfolgorare, hanno creato l’uguaglianza basandosi sulla più
triste delle loro caricature, hanno decretato illegale la notte e noioso il
giorno, hanno reso eterna la soluzione finale, collegandoci ad elettrodi
negativi hanno azzerato la nostra coscienza ribelle con la spazzatura che ci
costringono a produrre.
Volete
qualcosa di cui essere fieri? Gli operai italiani erano celebri in Europa per
il loro assenteismo: adesso cos’è tutta questa smania di lavorare!? State forse
rinnegando le vostre radici? Non è per niente patriottico…
ANTIKUNST
NON LEGGETE LA REPUBBLICA!
La
difficoltà pratica nella quale si trova il movimento di contestazione all’alta
velocità nel farsi accettare in larghi strati della popolazione è comune a
quella di qualsiasi altro movimento di contestazione al potere costituito
operante nella storia, e non ha niente a che vedere con la cosiddetta deriva
violenta delle sue azioni. Risiede come sempre nelle eterodosse possibilità
della propaganda dominante (principalmente tramite il suo apparato tecnologico)
di sofisticare la realtà a proprio favore e conseguentemente di mantenere la
repressione poliziesca ad un livello accettabile dalla maggioranza dei suoi
sottoposti, cioè da coloro i quali le menzogne arbitrarie del regime sono state
accettate, sostituendosi ad un pensiero individuale e una visione indipendente
della realtà dei fatti. Ed è proprio questa sordità nei confronti della
percezione del pericolo di un’onnipresente propaganda che ha sempre determinato
la fine di ogni pratica di contestazione. Quando il movimento ha accettato le
regole della propaganda diventando pacifico, il potere lo ha inglobato
sterilizzandolo da ogni sua possibilità di cambiamento della società, e
defecandolo poi sotto forma di gadget e leggende commercializzabili. Quando,
viceversa, il movimento ha negato radicalmente la propaganda senza avere un
adeguato supporto popolare, si è ritrovato a contare i morti della violenza
gerarchica, sterilizzato dei suoi propositi di cambiamento tramite il
nichilismo e la paura. In ogni caso il potere è rimasto al suo posto, ha
vacillato, si è adattato, ha affinato le proprie tecniche mistificatorie e
repressive, ma non ha mai ceduto il passo, se non per brevissimi momenti e in
contesti circoscritti.
In
questo particolare periodo storico, il potere sta affrontando una delle sue
cicliche crisi di legittimità: lo vediamo ogni giorno dalle dichiarazioni dei
suoi personaggi, sempre più strafottenti e provocatorie, che lasciano
trasparire la difficoltà e l’incapacità di affrontare la situazione; dal
rinnegamento delle proprie teorie fondanti che gli hanno permesso di comandare
col consenso dei sottoposti; dal nervosismo sempre più esasperato dei suoi
tutori dell’ordine (cioè i nostri nemici più prossimi, coloro con i quali
abbiamo a che fare quotidianamente), sempre più pronti ad impugnare il loro
sempre più moderno armamentario, e sempre più numericamente inseriti nella società.
Le cause di queste debolezze possono essere ascritte alla necessità
imprescindibile di ogni potere di cambiare la propria forma ogniqualvolta venga
inevitabilmente smascherato per il suo carattere menzognero; ma oltre a questo,
c’è una variante particolare, che non si era mai presentata nella storia in
queste proporzioni: la possibilità concreta di intaccare irreversibilmente la sua propaganda, l’occasione di allargare
le falle create dalla sua opulenza tramite la controinformazione diffusa e la
pratica delle alternative possibili. Siamo ben lungi dal provocarne il crollo
(ed è questo il nostro unico rammarico, ed è da qui che viene la nostra paura
di invecchiare), ma la farfalla ha sbattuto le ali e ciò può diventare
tempesta. Quello che sta succedendo in Val Susa è, per visibilità attuale e per
la gamma dei soggetti coinvolti a vario titolo nello scontro, il campo
principale sul quale giocare le nostre possibilità di cambiamento. Dal momento
che nessun partito, ideale, credo o altra costruzione metafisica sono riusciti
ad ingabbiare la protesta, la lotta è per l’affermazione delle nostre vite
contro la reificazione dell’esistenza.
Massimo Tartaglia
ITALIA MERDA
In
un paese in decadenza che ha perso ogni sua parvenza democratica, nuovi poteri
cercano di accaparrarsi i vecchi privilegi adesso che il nano di Arcore ha
indecorosamente terminato il suo regno. I legalisti de “La Repubblica”, orfani
tristi di Berlusconi, si fanno paladini della giustizia borghese cercando di
costruire il loro consenso su un’altra negazione. Ma è ormai evidente la
difficoltà delle istituzioni di contenere l’illegalità di massa: gli appelli
alla delazione che cadono nel vuoto, l’astensionismo elettorale e il crescente
fastidio verso le forze dell’ordine, renderanno ardua la vita dei prossimi
governanti Grillo, Travaglio, Scalfari e il camerata Saviano (che, tra una
lettura di Evola e l’altra, sta facendo vedere la sua versione più patetica).
Neanche le esegesi della propaganda padronale sugli ultimi accadimenti italiani
è riuscita ad aumentare minimamente il consenso verso il potere, anzi ne ha
smascherato la faccia più ignobile e sleale. La bomba di Brindisi è emblematica,
con le alte cariche del potere giudiziario che si spendevano nello scagionare
la mafia ed elogiarne il carattere patriarcale, come ogni buon italiano
dovrebbe fare; pochi giorni dopo Manganelli dichiara che il principale pericolo
per il paese sono gli anarchici, collegando implicitamente questa accusa a
qualsiasi fatto di terrore è avvenuto o possa avvenire in Italia. Infine viene
fuori, quando ormai i cadaveri sono freddi e le macerie tolte, che una mente
insana creata dalla perversione spettacolare in stile americano, è l’autrice di
questa azione, nel contorno di dichiarazioni sobrie a piè di pagina. Ormai le
masse proletarie ne hanno abbastanza della loro condizione di sottomissione ad
un potere che non ha più nessuna legittimità (se mai ne avesse avuta): per
misurare la loro considerazione nei nostri confronti basta vedere come crollano
le fabbriche dove ci costringono a lavorare, o come ci sguinzagliano contro
mandrie di sbirri imbastiti di cocaina non appena osiamo alzare la testa. Il
titolo è un invito a tifare rivolta, contro, per esempio, una nazionale di
giocatori d’azzardo che ci umiliano ogni giorno ostentando la loro eccessiva
ricchezza, in prospettiva di un più generale ribaltamento dello stato e delle
gerarchie custodi dei privilegi dei potenti.
LA RECENSIONE DEL MESE
REMIGIO TRISTONI: “VIA DALLA VITA”
La
storia è pressappoco questa: un giovane scrittore vuole pubblicare il grande
romanzo dell’humor nero, ma per mantenersi è infognato in un frustrante lavoro
di sceneggiatore di film pornografici: orge, pompini, storie di uomini di stato
con prostitute dedite al bondage gli faranno perdere di vista il suo reale
obiettivo, fino a quando un giorno un’ambigua trama di pedofilia provinciale lo
farà arrestare e passerà il resto della sua breve vita in un manicomio
criminale, dove un infermiere sadico, che possiede le copie di tutti i suoi
film, lo userà come cavia per elettrochoc illegali; morirà durante le riprese
di uno snuff movie impiccato con le catene da neve dell’auto sportiva del
primario dell’ospedale. Un triste spaccato odierno sulla difficoltà dei
laureati di confrontarsi con una società in declino, la stessa società che una
volta si nutriva di loro per magnificare la sua grandezza, adesso li usa per
tappare con i loro cadaveri le falle dei propri difetti strutturali. La
scrittura scorre lentamente, un’agonia mentale che non trova sbocchi di
genialità, ma rende bene l’idea delle torture atroci delle quali è vittima il
protagonista. Vi consiglio la lettura se non avete più fiducia nel futuro e la
vostra mente è ottenebrata dal male. Per tutti gli altri, risparmiate i soldi
del libro e comprateci un biglietto del treno per una località di mare, visto
che le previsioni per i prossimi giorni promettono sole e aria ventilata.
AK
CE N’EST QU’UNE FIN…
Le
parole contengono in esse stesse un’azione, il linguaggio reale libera queste
azioni che quindi diventano reali e agiscono sulla realtà, determinando in
maniera più o meno incisiva gli accadimenti e i loro sviluppi. Un discorso
detto a voce influenza l’ambiente in cui viene annunciato, e di conseguenza le
azioni delle persone presenti in quell’ambiente. Può anche essere il semplice
voltarsi per aver udito un suono, le vibrazioni sonore che raggiungono il corpo
di una mente che neanche sta ascoltando, oppure accendere il meccanismo che
genera un’idea o una risposta. In ogni caso, le parole agiscono sulla realtà, e
in un tempo più o meno lungo, determinano una reazione degli individui reali.
Le parole scritte hanno una capacità di influenza logicamente minore sulla
realtà immediata, anche se probabilmente la loro incidenza sul pensiero è
superiore. Ma hanno degli evidenti limiti: la loro accumulazione tende a
logorare il valore d’uso delle parole e sterilizzare l’azione che esse
contengono; oltretutto sono facilmente manipolabili da coloro che le accumulano
e hanno la possibilità di attuarne una produzione seriale. Se poi alla
riproduzione ossessiva aggiungiamo una rifinitura estetica elettronica (luci,
colori, trucchi visivi, tecnologia invasiva), le parole divengono un orpello di
un quadro che non rappresenta niente. Per questo abbiamo deciso di farla finita
col sistema di accumulazione delle parole, per tornare alla realtà del
quotidiano e all’immaginazione di ciò che è possibile, l’unico atto che ci può
liberare dalla dittatura delle parole accumulate e ristabilire il loro senso
originario o crearne uno completamente nuovo funzionale ai nostri obiettivi. Il
potenziale di un colloquio vocale, unico e irripetibile, è infinitamente
superiore ad un discorso, per quanto giusto, scritto su un computer nel mezzo
di una cloaca di altre parole accumulate e riproducibili. Il primo agisce
immediatamente sulla realtà, determinandone in qualche maniera gli sviluppi
successivi; il secondo può anche non essere recepito da nessuno e alimentare la
solitudine di chi lo scrive, oppure, nella migliore delle ipotesi, confondersi
nel mucchio in attesa che questo strabordi. I no-tav non partono da casa
incappucciati, ma si coprono il volto quando iniziano a piovere lacrimogeni; la
dicitura “agenti feriti” dovrebbe essere seguita dai referti medici che parlano
di intossicazioni respiratorie e slogature alle giunture; il corteo di Taranto
non ha agito violentemente, ma è stato impossibilitato a parlare da chi detiene
i mezzi di riproduzione delle parole accumulate. Vedete bene che la realtà è
decisamente diversa dalla rappresentazione che le dà, per esempio, “La
Repubblica”. Tante piccole individualità vocianti possono agire sugli
accadimenti molto più di un blog o una pagina facebook con milioni di lettori.
BRACCIO POLITICO DEL COLLETTIVO ANTIKUNST
STORIA PATETICA DI UN’INVESTITURA
Ci
troviamo costretti, nostro malgrado, a intervenire sulla ridicola querelle nata
dalla pubblicazione di una innocente foto che ritrae il signor Martino Da Leva,
cassintegrato di cinquantasei anni, che, vinto da una serata intensa di gobbini
di vino rosso all’osteria “Le Bateau Ivre”, si addormenta beato proprio in
prossimità dell’automezzo di Matteo Renzi, in gita promozionale a Empoli. Ora,
vista l’incredibile somiglianza del Da Leva con l’ex-onorevole Massimo D’Alema,
la miseria del dibattito politico italiano ha preso a pretesto questo triste
spaccato di quotidianità urbana, per montare una polemica per certi versi
emblematica. Quest’immagine ha tenuto banco per diversi giorni sulle testate
nazionali, collegata alle lotte intestine nel partito post-stalinista
cosiddetto di centro-sinistra, e rivela, come se ce ne fosse stato bisogno, la
fumosità e l’inadeguatezza dei discorsi dei burocrati politici. I commenti sono
stati ancor più, se possibile, raccapriccianti: “imbarbarimento della
politica”, “uno dei punti più bassi”, parole di gente intristita dalla propria
vita, che non ha più un pensiero aderente con la realtà. Sia chiaro: noi non
teniamo né per il bucaniere del Mar Ionio, né per l’ex-concorrente della Ruota
della Fortuna, suscitano in noi la medesima indifferenza; è stato solo un
gioco, un’azione inutile che ci ha fatto sorridere e che ci ha provato
ancora una volta come la nostra voglia di vivere non ci abbandoni, al pari
delle vostre frustrazioni che vi hanno trasformato in grigi musoni paranoici,
incapaci di trovare soluzioni alle vostre contraddizioni se non invocando
un’improbabile repressione poliziesca in puro stile nazi-fascista. Pur essendo
molto educati, non ci sentiamo in dovere di scusarci con nessuno, vogliamo anzi
permetterci di darvi un consiglio per arginare questa epizoozia: fate come
D’Alema, non candidatevi nessuno, la società civile ve ne sarà grata… Ascoltate
i vostri desideri, la vita è ADESSO!
CICLOTERRORISTI
SEZIONE MOBILE DEL COLLETIVO ANTIKUNST
LA GRANDE BEFFA DELLA DEMOCRAZIA
Nell’era
del confusionismo più bieco e cinico, in un paese in evidente stato di
decomposizione che adora la sua muffa come un idolo putrefatto, si svolgeranno
come ogni anno delle elezioni, puntuali come una disgrazia e altrettanto
nefaste. Tralasciando le analisi sull’effettiva utilità di questa pratica, o
sulla concezione di democrazia, diventata ormai un obsoleto strumento di
oppressione, tutte le parti in causa sembrano intenzionate a non voler
governare, tutte ambiscono ad una comoda poltrona nelle file dell’opposizione
per poter ricattare senza sporcarsi le mani ne compromettersi politicamente, in
attesa di tempi migliori. Una campagna elettorale ridicola nella quale nessuno
si azzarda ad avanzare una proposta, ognuno, comprese le nuove promesse della
politica che di giovane hanno soltanto il dato anagrafico, si apposta sulla
difensiva reagendo agli attacchi della controparte con infantile nervosismo,
rispolverando dall’armadio pieno di scheletri della demagogia le facili
soluzioni alle varie crisi ed emergenze alle quali ci hanno abituato,
rimandando ad un futuro che non diverrà mai presente l’illusione di un
benessere diffuso. I rimasugli della sinistra si sono lanciati a capofitto
verso un legalismo ottuso e fondamentalmente reazionario, candidando giudici e
sbirraglia varia nel disperato tentativo di suscitare la pietà degli elettori
timorati di dio e della legge. Il sessuomane Berlusconi, ormai un personaggio
patetico già pronto per il museo delle cere, che sembra diventato assai più
stupido di chi lo ha sostenuto fino ad ora, si rifà vivo per salvaguardare le
aziende di famiglia, incarnando la più orrida delle ideologie bottegaie
democristiane. Un Grillo impantanato nelle paludi di un sistema che pensava di
combattere, già più tranquillo e sicuro di essersi sistemato per la pensione. E
poi il candidato della finanza, l’usuraio Monti, che in un modo o nell’altro
riuscirà ad imporre la cultura del sacrificio, aiutato dall’antidiluviano
Napolitano, per continuare ad alimentare questo sistema mafioso con i cadaveri
del proletariato inconsapevole.
La
distorsione del reale da parte degli apparati mediatici controllati dal potere
è arrivata ormai a livelli insostenibili perfino per la stessa classe
dirigente: basta camminare per le strade per accorgersi che le nostre città non
sono né estremamente pericolose né perfettamente vivibili, come di volta in
volta viene descritto sui mezzi d’informazione a seconda dell’opportunità
politica del momento. Nel paese reale le città sono costituite di individui con
mente e cuore, che amano, soffrono, sudano, lottano, vivono, muoiono: siamo noi
le sole “anime salve” in questo paese di merda, alle quali il potere non ha mai
regalato nulla , e ogni giorno, nonostante tutto, continuiamo a vivere, perché
consideriamo la nostra vita l’unica possibilità di soddisfare i nostri
desideri. Per quanto ci riguarda, il solo risultato che desterà la nostra attenzione
alle elezioni sarà quello dell’affluenza alle urne: più sarà basso, più la
nostra festa sarà rumorosa. Il nostro obiettivo è delegittimare il potere che,
al di là delle retoriche teorie repubblicane, non ha mai rappresentato il
volere del popolo, e diffondere la pratica dell’autodeterminazione e
dell’immaginazione di ciò che è possibile, defilandosi dalla prospettiva di un
sistema capitalistico che sta svelando irrimediabilmente la sua natura nazista.
“Quando sopra le vostre teste le nuvole coprono il sole, ricordate che è sempre
colpa del governo. Le elezioni portano la pioggia, la rivoluzione porta sempre
il bel tempo” (Debord).
LUMPENPROLETARIAT
BRACCIO POLITICO DEL COLLETTIVO ANTIKUNST
UNA NAZIONE IN ANALISI
Il
dato più sottovalutato dalla monotona informazione italiana, e per questo il
più significativo, è quello sull’affluenza alle urne di queste inusuali
elezioni politiche. Dopo decenni di dati stabili, con un “fisiologico” venti
percento, c’è stato un deciso slittamento in avanti degli astenuti, nell’ordine
dei cinque punti (senza contare un due-tre percento di schede bianche o nulle).
Percentuale che potrebbe essere stata molto più alta se non vi fosse occorsa la
variabile “cinque stelle” (che, come ricordava inconsapevolmente il Tirreno in
questi giorni, non è la valutazione di un hotel, ma soltanto l’ennesimo
restyling che lo spettacolo si concede attendendo la sua fine): molte persone,
invece di disertare le urne e ascoltare i primi barlumi di critica radicale che
stanno nascendo nel loro inconscio, hanno preferito votare il partito di
Grillo, per “non andare contro il volere dei padri” o più semplicemente per
qualche rimasuglio pedagogico sul diritto-dovere del voto. - A proposito: per
chi sostiene ancora di dover andare a votare perché “molte persone sono morte
per questo diritto”, ricordiamo che altrettante ne stanno continuando a morire,
proprio perché ci ostiniamo ad eleggere questo circolo di mafiosi corrotti e
incapaci (mentre stiamo scrivendo ci giungono notizie di un operaio morto
all’Ilva a Taranto, e di uno sconto di pena ai dirigenti della TyssenKrupp: è
proprio vero, mai fidarsi degli Ingroia…). Troviamo lusinghieri i commenti
sull’ingovernabilità del paese, ed è questa l’unica gratitudine che riconosciamo
ai “cinque stelle”: per il resto, abbiamo fondati motivi di credere che, alla
resa dei conti nelle stanze del potere, i “cinque stelle” rimarranno stritolati
dal sistema politico, pieno di guaglioni navigati e squali cinici assetati di
denaro, e si verificherà un massiccio esodo verso destra o verso sinistra.
L’unica strada che i “cinque stelle” dovrebbero intraprendere per rimanere
coerenti con ciò fin qui detto e non dissolversi come una Lega Nord qualsiasi,
è la graduale ma decisa estinzione dello Stato e di tutti i suoi privilegi: se
non si muoveranno in questa direzione, verranno assorbiti dal sistema partitico
e alle prossime elezioni, svanita l’illusione, si moltiplicheranno gli
astenuti. Dovremmo gioirne, ma non è nostro costume campare sulle disgrazie
altrui. Il fine giustifica i mezzi, ma a volte, i mezzi possono far cambiare il
fine, come diceva qualcuno.
Viceversa,
il dato più sopravvalutato, e per questo il più prevedibile, è quello che
riguarda l’altro “clown”: chi è rimasto sorpreso dal risultato di Berlusconi
(che comunque ha visto dimezzati i suoi voti) dimostra di non conoscere la
storia d’Italia. Non si tratta di constatare l’ignoranza o il deprecabile
“senso etico” di un popolo: chi continua a votare il pdl nonostante gli scandali,
la corruzione o gli atteggiamenti ridicoli del suo padrone, è perché una parte
d’Italia è così, è l’Italia dei vassalli e vassallini, degli “obbedisco”, del
sostegno al fascismo, del servilismo democristiano, di quelli che montano
sempre sul carro dei vincitori quando la battaglia è finita. Sono “quelli che
benpensano”, che tornano a casa ed alimentano le proprie frustrazioni con una
partita in televisione, che hanno paura di uscire la notte perché non
saprebbero cosa fare, non perché c’è la criminalità: sono l’esercito di riserva
dello spettacolo, quelli che sono riusciti ad annichilire i propri desideri e
vivono la propria sopravvivenza proiettandosi verso le vedette spettacolari
pensando di succhiarne un po’ di successo, sono il prodotto più riuscito
dell’organizzazione sociale dell’apparenza.
Niente
di interessante, invece, per quanto riguarda il pd, che di sinistra ormai ha
salvato soltanto un pallido rosso, che sfuma tristemente verso il bianco e il
verde. Sembra aver ereditato inoltre il burocratismo stalinista che ha sempre
soffocato le istanze dei proletari di cui diceva di gestire gli interessi,
nella prospettiva della salvaguardia di un capitalismo che lo sopportava come
sua falsa controparte. Una considerevole fetta della sua cosiddetta “base” lo
ha abbandonato, perché la sua menzogna è crollata insieme al Monte dei Paschi,
e a decenni di governo delle istituzioni locali in cui non si sono notate
differenze di metodo con il liberismo finanziario che sta sgretolando lo stato
sociale.
Sorvolando
su tutti gli altri (Vendola, Monti, Fini, Casini, Ingroia etc…, vittime del
loro scarso appeal spettacolare), o sulle imbarazzanti prove dei partitucoli
fascistizzanti, e in definitiva, lasciando perdere tutti questi commenti che ci
interessano ben poco, vorremmo focalizzare il discorso su quello che più ci sta
a cuore, cioè la dimensione sociale del paese, intesa come rapporti tra le
persone. Abbiamo notato come, prima delle elezioni, ci fosse un generale
silenzio riguardo l’argomento, se ne parlava malvolentieri, come di un compito
da svolgere controvoglia, in un periodo in generale triste come una canzone dei
Morphine, e per di più in inverno. Ciò riflette la situazione di depressione in
cui versa la società italiana, in cui la classe media garantita si è
risvegliata, dopo decenni di party, aperitivi, condoni, evasioni, senza un
garante e con la paura di diventare come chi ha sempre odiato, cioè come chi
gli puliva le stanze, come l’operaio sottopagato, meglio se immigrato, che con
il suo surplus di lavoro mal retribuito gli permetteva di fare le vacanze
d’agosto, come le prostitute che il marito andava a scopare per tenere unita la
famiglia.
Dopo
una vita votata al lavoro e alla produzione, monetizzando qualsiasi aspetto del
reale e considerando inutile ogni azione non economizzabile, si sono ritrovati
nel bel mezzo di una crisi che ha sconfessato tutte le loro certezze e gli ha
rivelato la pochezza delle proprie esistenze, che si reggevano soltanto sulla
menzogna di un benessere da ostentare come un facile trofeo. Anche da questo
nasce l’epidemia di suicidi e gli assassini compiuti da “cittadini
insospettabili” (ultimi in ordine di tempo gli omicidi di Perugia, fatto tanto
grave quanto colpevolmente ignorato da una stampa timorosa di turbare la
suscettibilità dei propri lettori, che si è adoprata soltanto nel trovare delle
attenuanti al gesto di una persona nella quale si potrebbero riconoscere come
potenziali emuli).
Il
proletariato, dal canto suo, si è ritrovato tra l’incudine di un’esistenza di
sfruttato, e il martello di una repressione con ogni mezzo delle proprie
rivendicazioni. Quello che è successo a Genova nel 2001 sta ancora contraendo le
azioni dei movimenti antagonisti, ed ogni volta che la rabbia per la propria
condizione, non trovando una coerenza organizzativa, sfocia nel fatto violento,
che sia di difesa o che sia di attacco, l’intellettualismo garantito cerca di
esorcizzare la paura richiamando al pacifismo e al rispetto, continuando
implicitamente a difendere il sistema che lo nutre e gli permette una vita
agiata. Ma un sentimento di rivalsa sembra attraversare il paese, e ha radici
più profonde di quanto riveli il mero risultato delle votazioni. E’ la rivalsa
di una generazione nata nei condomini a tre o quattro piani al minimo, vissuti
in case tutte uguali e con i soliti gusti ed interessi dettati da un mercato
pubblicitario pervasivo, alla quale avevano promesso un mondo che è rimasto
soltanto un’immagine, alla quale consigliavano di studiare il più possibile
“perché sennò non troverai lavoro” (stiamo vedendo com’è andata a finire…). Una
generazione che sta pagando con la propria precarietà i debiti di un liberismo
che ha fallito per colpa della propria ingordigia, e che si sta mantenendo vivo
grazie alla gestione mafiosa e usuraia dei propri interessi, aiutato in questo
da uno stato di polizia che sta criminalizzando sistematicamente ogni parvenza
di dissenso.
UNA STORIA GIA’ LETTA…
Alla
fine della giornata del 1° maggio i sindacati, uniti nel cordoglio per la loro
prossima dissoluzione, hanno dichiarato che “senza lavoro, il paese muore”,
ammettendo implicitamente di non essersi accorti che fino ad ora nel paese si
moriva ugualmente anche se c’era lavoro, anzi proprio a causa di esso. I
componenti del paese, esclusi quelli che sono morti, i quali ormai non hanno
più molto da dire, sono rimasti attoniti, affossati nel più completo
scoramento: c’è chi ha provato a sparare, togliendosi senza dubbio qualche
soddisfazione personale, ma senza grandi risultati; c’è chi continua, in modo
parziale o assoluto, a tentare ogni giorno di aggirare delle leggi reazionarie e aristocratiche,
perché considera ancora la propria vita come qualcosa impossibile da delegare.
E c’è anche chi, passata velocemente la sbornia grillina come la botta di un
fumo scadente, si sta ravvedendo (vedi l’astensione di massa alle regionali in
Friuli), e iniziando a rendersi conto di essere governato da intermediari
finanziari stipendiati dalla Goldman Sachs, o da qualche altra associazione a
delinquere di stampo capitalista. Ormai è rimasto ben poco da dire, soltanto la
pratica possiede gli spazi inesplorati che conducono al raggiungimento dei
desideri. La teoria si può ridurre a sottolineare le contraddizioni del
sistema, come per esempio l’estrema spettacolarizzazione delle bombe alla
maratona di Boston, mentre qualche migliaio di chilometri più sotto il
terrorismo capitalista, nel silenzio della sua propaganda, produceva decine di
vittime operaie per l’esplosione di una fabbrica di fertilizzanti in Texas.
Abbiamo i mezzi e la consapevolezza per considerare questa democrazia per
quello che è, un’assoluta menzogna, e agire di conseguenza: non permettiamo che
un altro strumento qualsiasi della produzione spettacolare continui a nutrire
il nostro rincoglionimento, riprendiamoci il nostro quotidiano, facciamolo
almeno per un senso di onestà nei confronti della nostra intelligenza.
L’ANGOLO DELLA CULTURA
E’ attesa a breve la nuova fatica letteraria di Remigio Tristoni,
dal titolo provvisorio de “Il guardiano dell’agriturismo”. Secondo
indiscrezioni della prima ora, la storia è caratterizzata da marcate tinte
erotiche, senza però perdere di vista il percorso di critica sociale già
intrapreso con “Via dalla vita”. Come ha dichiarato lo stesso autore in un
lapidario twitting dal profilo di un amico (“Ho serie difficoltà a
sopravvivere… Bisogna battere il porno finchè è caldo”), alla base della svolta
pornografica ci sarebbero impellenti necessità economiche, collegate
probabilmente alla sua dipendenza dall’alcool.
L’ORRENDA
FINE DEL CAPITALISMO
PROLOGO
TRE
ATTI: I-SITUAZIONE DELL’INDIVIDUO
II-L’ANONIMA ASCESA
III-LA CADUTA E LA TRAGICA DISFATTA
Prologo
(Limiteresti
la tua idea di futuro migliore ad un qualunque Escrivà tumefatto sulla forca?)
Il
vecchio Progresso, seduto sulla porta di casa, inveisce contro i propri figli
prostituiti,
nella
cripta patriarcale le sue ossa scricchiolano come filigrana elettrica;
l’incauta
Natura, con piante di stramonio, ne ha vergato l’immacolato crine,
dei
destini mutilati rimangono ormai cumuli di rifiuti,
a
intasare di polluzione le sue arterie fin troppo rammendate;
i
solenni desideri, che un tempo scorrevano nei cuori scarlatti, subiscono oggi
l’ennesimo temibile insulto:
l’imminente
catastrofe li soffocherà con tempera pesante…
I-Situazione
dell’individuo
Negli
scantinati dell’anima si consuma ancora il dramma della solitudine,
una
luce innaturale non crea ombre ma distribuisce terrore,
un
altro libro sta per finire per il sarcastico logoramento del tempo,
e
sembra, o è soltanto l’ennesima illusione, che una nuova fase di sorrisi
inediti si stia aprendo.
Si
offusca la ragione nell’inverno dei desideri, pieno di “simbolismi oscuri”:
ho
dovuto rinnegare gran parte del mio passato per poter continuare a frequentare
luoghi affollati di persone,
e non so quanto
ne sia valsa la pena — tremo
nello scrivere,
ho paura di quello che la prossima parola possa evocare,
anche i segni portano a galla ricordi che credevo morti come
un piatto di funghi mal digerito;
le lettere si fanno cubiche, grandiose, assumo prospettive
angoscianti,
sfumano verso il nero nelle metropoli silenziose.
I torbidi intrecci della casualità deprimono gli istinti,
volti famigliari si susseguono,
spariscono, si scompongono e ritornano negli incubi della
notte,
l’asettico paesaggio innevato si snoda immobile e ovattato: non
esiste più natura,
i rumori si contrastano fino al volume zero di una realtà in
discendendo.
L’astinenza di vita ha causato un illogica cancellazione
delle capacità di socializzazione:
un malsano nichilismo mi obbliga ad imparare di nuovo regole
di convivenza,
che mai dovrebbero perdersi e sublimarsi in ossessioni
autodistruttive;
sono come un bambino appena nato in un mondo di adulti
pretenziosi,
il fanciullino si muove goffamente e si intristisce vedendo
i suoi giochi liquefarsi nella civiltà dei cannibali,
si sciolgono in magma denso e inquinato,
e confluiscono nella valle di cemento dove formano il
mausoleo del sacrificio ludico;
il fanciullino prostrato di fronte alla propria infamante
sconfitta,
piange lacrime di sangue e non reagisce pensando alla
prossima delusione.
In un letto alto centinaia di metri, nel mezzo di un cielo
cupo e freddo,
i fantasmi dell’insonnia e della colpa sostano gracchiando
sulla sua testata,
gli occhi sono chiusi ma le immagini si materializzano
ugualmente,
come in un beffardo scherzo metafisico in piena dittatura
razionale:
sono facce tumefatte che urlano di dolore, un dolore grigio,
indefinito, immotivato,
che non ha nessuna intenzione di essere lenito,
ma ingordo di difetti strutturali cerca nutrimento nella sua
testa che non conquista più il sonno.
II- L’anonima ascesa
L’industria metalmeccanica si alza in piedi con le sue
gambe-ciminiere e il suo ventre-magazzino,
senza volto cammina calpestando le aiuole e schiacciando le
rock-band,
afferra un vagone merci e lo accende sbuffando da una
finestra rotta;
la sua vittoria è completa, chi mai avrà il coraggio di
contrastarlo,
visto che gli eroi dei fumetti sono troppo impegnati a fare
film per Hollywood.
I grandi volatili meccanici colpiscono i cacciatori a terra,
il mostro di mattoni
cotti si nutre delle loro carcasse in un lugubre aperitivo,
scricchiolante di ossa e bagnato di globuli rossi —
gli altri avventori del bar sembrano indispettiti,
un disgustoso inconveniente che stride con le loro pose
cinematografiche e la loro patetica lussuria;
il mostro marrone, accortosi del loro palesar dissenso,
gli spiega che il loro sacrificio di ormoni e carni da
cannone ha creato quella figura,
irritante ma necessaria per i loro precena alcolici.
A quel punto le comparse della realtà estraggono fuori dai
loro portafogli di pelle
le carte di credito scintillanti nel clima natalizio,
urlando: “Non abbiamo bisogno di te!”;
il mostro, senza tanto sfoggio di spirito democratico,
abbassa la sua mano-segreteria su di loro, uccidendoli
all’istante, assumendoli con un contratto a progetto.
III- La caduta e la tragica disfatta
Il mostro d’acciaio, corazzato di silicio, continua nelle
sue lusinghe elettriche,
installando illusioni fluorescenti ai primi piani dei
palazzi residenziali,
e infarcendo le sue stanze di materiale plastico decadente;
ricostruisce un paradiso desolato dentro scatole digitali,
di diversa forma e colore ma rigorosamente predeterminate;
rifornisce di invitanti cocktails clorofluorocarburici i
propri sudditi inebetiti.
Ma una malsana debolezza si insinua nella sua costituzione
architettonica,
e i suoi padri glielo avevano pur detto:
sempre meno persone si affollano nei suoi santuari a render
grazie alla sua magnanimità,
e sempre meno vitelli grassi vengono sgozzati sui suoi
altari.
Con la violenza della morte obbliga chi rimane vivo a
sottostare al suo imperio,
ma la sua forza si fa sempre più labile e la sua voce di
carta è sempre più roca.
Barcollando si reca nei luoghi dove si stanno svolgendo i
suoi funerali,
e osserva gioire i suoi esiliati di situazioni che non
prevedono la sua presenza:
armonie sublimi, canti deliziosi, cibi succulenti, vini
inebrianti,
donne e uomini nudi che non seguono alcuna moda, castelli
senza nessuna protezione,
colori vividi e forme irrazionali, fanciulli divertiti e
spettinati.
Nel presagire la propria disfatta, il mostro di macerie,
senza il minimo rimpianto,
guidato dall’accidia e dall’egoismo che lo hanno eroso,
si lascia cadere sui suoi figli ribelli sperando di
sterminare l’umanità —
ma la caduta è lenta, innocua, prevedibile, inutile;
il mostro ha il tempo di rivedere tutti i suoi errori, dei
quali ovviamente non chiederà il perdono.
Quando il suo cadavere giacerà nei sottosuoli archeologici,
il resto del mondo sarà di nuovo un luogo dove poter vivere,
i mostri saranno soltanto personaggi di racconti arcaici,
evocati per spaventare scherzosamente i bambini nelle notti
d’estate,
quando distesi in riva al fiume vedremo la notte sorridere
nel profumo dei corpi liberati.
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