lunedì 16 dicembre 2013

I VECCHI COMUNICATI DEL VECCHIO SITO...


NON VE NE SIETE ACCORTI? STATE GIA’ INIZIANDO A MORIRE

E’ oramai palese l’esiziale fallimento del capitalismo avanzato e della sua proposta democratica. L’evidenza del suo inevitabile declino è possibile constatarla quotidianamente: la necessità di una politica monetaria votata all’usura; la sempre più violenta repressione delle interferenze anti-utilitaristiche che derivano dai naturali desideri delle individualità, che sfociano nell’insorgere delle perversioni moderne, siano esse sessuali o esistenziali; la razionalità fordista allargata ai ritmi della vita quotidiana, che obbliga le persone a muoversi da un centro di concentramento all’altro (dai centri di produzione economica ai centri di consumo totale, col conseguente azzeramento dei momenti di tempo e spazio liberi); il goffo e quasi ridicolo tentativo di difesa dei privilegi aristocratici da parte dell’élite consumista, la stessa che detiene l’esclusività dei diritti, derivata dalla paranoica esegesi di vecchie teorie auto-compiacenti (“Ho un lavoro, quindi merito dei diritti”, come se alimentare questo sistema omicida con le forze vitali strappate alla soddisfazione dei desideri personali meritasse un premio democratico). Il primo decennio di questo XXI secolo è un periodo molto triste: i veicoli a motore possiedono più spazio unitario di quanto non ne abbia un fanciullo per giocare e rivelare la propria personalità; i governi degli stati si adoperano ogni istante per risanare immaginari debiti con banche usuraie, mentre il popolo, che, secondo la propaganda repubblicana, dovrebbe essere il suo mandante, sopravvive ignorante nella razionalità delle periferie-magazzino, stipata in torri parallele come merce in esubero. I centri commerciali sono il risultato conclusivo di una parabola secolare di accerchiamento e svalutazione della vita vissuta: l’utopia del capitalismo finalmente divenuta realtà, una costruzione eccessiva che possiede al suo interno la democratica possibilità di soddisfare qualsiasi bisogno indotto, un monumento all’in-estetica della razionalità che diminuisce in modo realisticamente ultimativo le distanze tra un consumo e l’altro, depauperando le occasioni di creazione di situazioni che permettono all’individuo di godere della propria esistenza. Per l’imperialismo capitalista i centri commerciali sono la meta; per i situazionisti sono non-luoghi da visitare ubriachi provocando le offese dei non-vivi che li frequentano; i situazionisti sono consci dell’ineluttabile quanto vicino crollo di queste strutture di concentrazione sub-urbana: è per questo motivo che invitiamo tutti a sbarazzarsi quanto prima dalla dipendenza dalle merci inutili, per non rimanere intrappolati nella imminente decostruzione delle sceneggiature della società dello spettacolo, e riappropriarsi immediatamente dei luoghi lasciati vuoti dal moto centripeto delle merci; i situazionisti vi propongono la creazione collettiva di una nuova concezione della vita che metta al centro degli interessi dei viventi la piena e continua soddisfazione dei desideri, una costruzione di situazioni basate sul gioco e sul rovesciamento delle prospettive, per dare forma finalmente all’inarrestabile desiderio delle nostre voglie più sincere.
NON ABBIAMO DA PERDERE CHE LE NOSTRE INIBIZIONI!

SEZIONE LIMITESE DELL’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA







I FANTASMI NON ESISTONO

“Divenuti colpevoli, inventarono la giustizia …”
Dostoevskij


La pronta reazione dei fidi ciellini all’affronto subito dal Papa nel proprio vescovato assume agli occhi di un osservatore attento la forma dell’impotenza rabbiosa a difesa di un’ideologia che già da molto tempo ha visto sgretolarsi la propria auto-referenzialità. Tanto più che i motivi assurti a spiegare la loro indignazione sono estremamente intercambiabili: non ci risulta che il cattolicesimo sia quel campione di tolleranza e rispetto che essi vogliono farci credere. Se una delegazione situazionista entrasse in una chiesa e chiedesse al padrone di quel luogo un dibattito circa l’appartenenza di Gesù alla setta degli Esseni, o il significato di “asino” attribuito alla parola “cristo” nella lingua aramaica antica (tutti fatti storicamente comprovati), essi verrebbero cacciati in malo modo e maledetti con strani riti. A parte queste facili accuse e polemiche da cabaret, che vista la loro evidenza diventa quasi sleale sottolineare, non si dovrebbe perdere di vista il nucleo della questione, tra l’altro ben mascherato dallo sterile spettacolo costruito dal regime mediatico italiano: il rinnovato vigore con il quale la chiesa cattolica torna a pretendere il controllo delle coscienze. Il vero obiettivo dell’aristocrazia religiosa non è, come spesso viene dichiarato, la difesa della parola di Dio di fronte agli attacchi del relativismo o la riaffermazione dei valori cristiani, ma sono ben altri. Ciò che essi difendono è la morale cattolica, il sistema ideologico che propaganda la sopportazione della sofferenza, il rispetto delle buone maniere e delle gerarchie, l’inclinazione al perdono, tutti atteggiamenti che i preti di ogni sorta si guardano bene dall’osservare, ma che il “gregge” deve seguire, perché funzionali alla classe dominante della quale il cattolicesimo è sempre stata espressione diretta. L’altra motivazione ha un carattere più “secolare” e riguarda l’economia delle anime: i vertici vaticani, da buoni imprenditori delle ostie quali sono sempre stati (le investiture, l’invenzione del purgatorio con relativa svendita di indulgenze, il feticismo dei santi, lo smercio delle immagini sacre, e ultimamente il vergognoso business attorno alla figura di Padre Pio) si sono accorti del calo percentuale dei credenti (o creduloni), principalmente rispetto ad un’altra costruzione immaginaria, l’islamismo. La reazione si è manifestata soprattutto a livello mediatico, dopo il beneplacito concesso dal “popolino” durante i funerali del vecchio Papa polacco, lo stesso che da fiero cappellano militare forniva le estreme unzioni ai desaparecidos in Cile e ai musulmani in Jugoslavia, unito al particolare contesto storico, che ha visto il liquefarsi delle vecchie ideologie novecentesche che permettevano ai padroni di sottomettere le masse. Le religioni si sono adoperate prontamente per riempire questo vuoto con la loro straordinaria duttilità, che le ha fatte sopravvivere nei millenni. Ma la classe dirigente non può più starsene tranquilla: il popolo è cresciuto e non ha più paura dei fantasmi.

COLLETTIVO ANTICLERICALE “THOMAS MUNTZER”






SOUS LE PAVE’ IL Y A LA PLAGE

1968: Un manipolo di guerriglieri dell’immaginazione prende in ostaggio le antiche strutture mentali borghesi torturandole con la fantasia e l’affermazione della vita. Gli operai scioperavano selvaggiamente e occupavano le loro prigioni, le vecchie querce scolastiche si sfrondavano di pesante disciplina, in America si faceva all’amore e la mente si apriva verso l’infinito; il Vietnam bruciava di bagliori arancioni che cancellavano migliaia di My Lay, in Cina l’uno diventava due e un libretto rosso faceva la fortuna di molti editori; in Italia l’aristocrazia post-boom imparava cosa voleva dire aver paura e Moravia veniva eclissato da pagine in ciclostile; si creò un’altra Germania in bilico sopra il muro, mentre in Francia si cercavano spiagge sotto il selciato e si scandalizzava i borghesi. Alla borghesia non piacque l’affronto subito, perché alla borghesia non piacciono le cose belle, non le capisce e la fanno sentire stupida: attaccata com’è all’inutilità materiale del proprio benessere. Con i suoi miseri strumenti si presenta alle urne votando in massa De Gaulle e armando democraticamente la restaurazione poliziesca. Il sessantotto è stato uno dei rari momenti nella successione di eventi chiamata storia nel quale la gioventù ha agito come classe sociale ( idea già elaborata dai dadaisti tedeschi negli anni venti e che Pasolini non riuscì a capire).  Questo non piacque neppure al potere che, estremamente disciplinato, governa solamente per l’inattaccabile vantaggio di essere nato prima. Il sessantotto ha avuto uno svolgimento del tutto particolare: è stato immediatamente represso, poi dibattuto, mistificato e miticizzato nel cielo splendente della metafisica, per essere  infine saccheggiato, normalizzato e commercializzato dall’opulenza capitalista fino ai giorni nostri.  Oggi, nel quarantesimo anniversario della sua dipartita, possiamo leggere il suo epitaffio in formato compatto su supporto magnetico, mostrando così il definitivo soffocamento di ogni sua eco rivoluzionaria. Sembrò subito evidente che le idee anti-autoritarie, che la contestazione lanciava come molotov verso gli aperitivi delle vecchie élite corporative, non potevano funzionare in una società che avesse mantenuto, anche in minima parte, gli antichi metodi di subordinazione. Una società che ha bisogno di milioni di morti ogni giorno per affermare la propria magnificenza eleggendo  se stessa nella menzogna dell’infinito progresso.  La povertà dei mezzi, o forse la malafede (vigliaccheria?) di una certa parte, non hanno permesso l’affermazione delle sincere pratiche di godimento della vita che il sessantotto conteneva. E le estemporanee critiche odierne, in questi tempi di revisioni e restaurazioni, assomigliano alle reazioni invidiose di chi in quegli anni non seppe andare contro i propri padri o chi, ancora più meschinamente, li usò come palestra per sottomissioni successive. Con il sessantotto, la critica alla società dello spettacolo è diventata spettacolo essa stessa, si è elevata a paradigma della rappresentazione irreale della sua divisione che allo stesso tempo afferma la sua reale unità.




“SE OTTO ORE VI SEMBRAN POCHE…”
Metamorfosi kafkiana di un operaio in catena/e

Finalmente le oscillazioni del mercato hanno creato un picco di produzione che vi permetterà di trovare un lavoro in una splendida catena di montaggio e provare a pagare almeno l’affitto e un pasto decente al giorno. Vi recate allegri ed entusiasti come ogni volta che una novità stuzzica la vostra immaginazione, al primo giorno di lavoro in una qualsiasi fabbrica di oggetti inutili e dannosi e vi rendete subito conto, nonostante il debordante ottimismo e il vostro non credere alle prime impressioni, che il posto presenta diverse imperfezioni stilistiche, non produce un buon rumore e neanche un buon odore, e si insinua piano piano in voi, così come il pulviscolo velenoso, la certezza che ciò che respirate non è precisamente taumaturgico per il vostro corpo, nonostante le raccomandazioni dei responsabili, che assicurano che le emissioni rispettano in pieno i magici parametri di Maastricht (cioè medie algebriche che permettono agli individui non di stare bene, ma di non stare troppo male, di sopravvivere quel tanto che basta per non rischiare di abbassare l’età media europea). Basteranno due giorni e la vostra capacità di adattamento si dilaterà come il polistirolo che producete, permettendovi di sopportare i ritmi di una macchina d’acciaio spersonalizzante con cui non potete discutere, e quei fischi nelle orecchie e quei grumi di polvere immagazzinati nei vostri bronchi che vi erano sembrati tanto odiosi. Intanto, mentre la vostra mente si predispone per l’insensato e il ripetitivo, producete in serie uguale stupidi oggetti di valore d’uso pari a zero che si andranno accumulando e rubando spazi di esistenza all’umanità, sempre più incasellato in compartimenti stagni a misura di modernità. Ma in fondo vi reputate fortunati, vi potrete permettere il nuovo dvd d’ultimo grido e finire di pagare l’auto (che ovviamente avete acquistato per potervi recare al lavoro), sarete costretti a tifare per una nazionale per non essere considerati dei sobillatori e addirittura concedervi una settimana di vacanza a Viareggio, dove rimarrete imbottigliati nel traffico sulle autostrade e mentre andate a far spesa alla coop. A questo punto, se siete sopravvissuti (migliaia sono i morti ogni anno provocati dall’immenso genocidio organizzato dal mercato), il vostro contratto a tempo determinato scadrà e un messo del padrone vi comunicherà, con molto senso dell’ironia, che un calo della produzione non permette di reinserirvi nell’organigramma aziendale: rimarrete storditi a rimuginare sulle oscure trame del capitalismo e vi domanderete per quale motivo il padrone stava per investirvi con la sua nuova fuoriserie diretto al porto per imbarcarsi sul suo lussuoso yacht.




MA QUALE DIALOGO? NON ABBIAMO NULLA DA DIRCI, PADRONE!

Scintillanti rievocazioni spettacolari cercano di rivalutare il deterioramento di un muro in quel di Berlino, mentre con la stessa dedizione si tace sugli altri muri eretti negli ultimi venti anni. La libertà, o meglio la sua rappresentazione sotto marchio registrato brevettato dall’occidente, è servita al capitalismo per sostenere la sua presunta superiorità nei confronti di un altro prodotto gerarchico, senza che ciò abbia mai portato a significativi miglioramenti qualitativi per il proletariato inconsapevole. Dopo la caduta di questa falsa dualità a causa della consunzione di una parte, che è stata la riprova più evidente della perfetta unità di intenti, il cosiddetto mondo libero  non si è fatto molti scrupoli nel recuperare tutti gli elementi più repressivi dello stalinismo e di tutte le sue varie correnti esauste (così come aveva già fatto con il nazifascismo), depurandoli dei loro aspetti più immediatamente truculenti, e allo stesso tempo falsificando fino agli estremi la propria idea di libertà come garanzia di superiorità, esportandola poi come una delle sue tante merci scadenti. Dopo un decennio di assestamento e riordino degli equilibri del potere mondiale, stiamo assistendo ora alla nuova costruzione di inediti nemici che dovrebbero minacciare questa libertà, vale a dire la possibilità per i padroni di mantenere i propri privilegi e continuare a garantirsi lo sfruttamento del proletariato inconsapevole. E tutto ciò sia in scala globale che nazionale: le torri gemelle, il fondamentalismo islamico, l’immigrazione illegale, le minacce nucleari. Queste locuzioni così incisive, costruite ad arte per il formato tabloid, riecheggiano quotidianamente sui mezzi di informazione, ormai completamente asserviti al potere, come litanie di una moderna guerra santa. Si fa un gran chiacchierare della repressione in Iran, quando non ci accorgiamo che l’Iran è ovunque: l’Iran è in fabbrica e sui luoghi di lavoro, l’Iran è sulle strade, l’Iran guida la civetta della repressione poliziesca, l’Iran è al Vaticano, l’Iran è stato a Genova e in tutte le piazze dove non è possibile contestare, l’Iran è in televisione dove si glorificano i personaggi importanti, nel tentativo di convincerci che le nostre vite siano completamente inutili e indegne di essere vissute, arrivando implicitamente a consigliarci il suicidio. L’ottimismo, la felicità immotivata, il lusso ostentato, la bellezza costruita, sono soltanto aspetti della propaganda del capitalismo totalitario; la morte, il dolore, la noia, sono la realtà che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle; così come la fantasia, la solidarietà, la spontaneità, l’amore, sono le prerogative del proletariato in attesa della rivoluzione, e dovranno essere le armi della resistenza dei popoli contro chi cerca di costruire l’immenso carcere dentro al quale ci vogliono detenere.
LA RIVOLUZIONE SARA’ ILLEGALE, O NON SARA’.

COMITATO D’AZIONE “NESTOR MACKHNO”




NON ESISTE CRISI CHE NON SIA LA CRISI DEL CAPITALISMO

Il voltafaccia si compie.
La vita ha ceduto il potere
All’alleanza del cadavere e dell’oggetto.
(Chlèbnikov)

L’ennesima réclame di una falsa crisi di un capitalismo già da lungo tempo in agonia è da sempre, almeno dall’invenzione dello stesso, presa come pretesto dalla classe dominante per cercare di mantenere i propri esosi livelli di benessere, sfruttando il plusvalore dei sacrifici imposti alla massa inconsapevolmente proletaria: sono secoli che quest’ultima sta vivendo una crisi, precisamente dal momento dell’invenzione della proprietà privata e dell’accumulazione speculativa. Le demagogiche richieste riformiste di una certa sinistra post-stalinista non hanno, a nostro avviso, le possibilità di migliorare qualitativamente le misere condizioni degli sfruttati: non c’è nessun bisogno di sterili illusioni che rimandino ad un futuro prossimo (che non diverrà mai presente) gli urgenti problemi quotidiani di sopravvivenza. La soluzione non è risollevare la produzione per creare nuovi posti di lavoro sempre più precari e nuove merci sempre più scadenti e inquinanti, ma è viceversa permettere a tutti di usufruire del tempo della propria vita liberato dall’obbligo del lavoro salariato, indipendentemente dall’andamento dell’economia capitalista, che è per definizione iniqua, settaria e inumana. La colonizzazione del tempo libero attuata dall’apparato propagandistico della società dello spettacolo (cioè tutto ciò che la tecnocrazia usa come mezzo per la rappresentazione della falsa realtà di un finto benessere) dovrà essere uno dei più incombenti campi di scontro nel quale contrastare il vecchio regime dominante. Ciò dovrà avvenire partendo da dei semplici punti fermi:
1)     Riportare la lotta per le strade e nei luoghi di lavoro e di ritrovo, cioè nella realtà, e non relegarla in un’indefinita rete cibernetica mondiale che direttamente continua a nutrire l’economia che esclude;
2)     Perseguire la pratica dell’IMMAGINAZIONE DI CIO’ CHE E’ POSSIBILE e defilarsi dalla prospettiva del potere, che non farebbe mai niente per nuocere a se stesso;
3)     Boicottare e sabotare l’apparato istituzionale pseudo-democratico, che altro non è se non una variazione, edulcorata nella forma, di un qualsiasi regime dominante.
Le attuali vicende greche insegnano a chiunque voglia imparare che il candido recinto della legalità non è altro che un mezzo per la conservazione dei privilegi della classe dominante: la violenza dei compagni greci è solamente la resistenza alla violenza che viviamo quotidianamente sulla nostra pelle. La violenza della repressione poliziesca, degli assassinii sul lavoro, dei cibi avariati e inquinati, della distruzione sistematica della natura, dell’inibizione dei desideri che causano le malattie psicologiche e i suicidi, degli ospedali pieni di epidemie di tumori, delle strade sempre più simili a camposanti, della noia che siamo costretti a sopportare in un sistema in evidente stato di decomposizione (la società dello spettacolo, che per prolungare la sua agonia non trova niente di meglio che inscenare all’infinito la propria decadenza, e dove l’importanza di un accadimento si misura in base al numero di telecamere che lo hanno ripreso). La crisi è soltanto nella nostra testa: riappropriarci del nostro vissuto quotidiano e disporne liberamente, queste dovranno essere le parole d’ordine dei prossimi conflitti sociali. “Per un mondo di godimento da guadagnare, non abbiamo da perdere che la noia”.





2011: C’E’ BEN POCO DA FESTEGGIARE


"...lo sai, che quell'idiota di Graziani farà una brutta fine..."

Cosa c'è di più patriottico, per commemorare l'unità d'Italia, di un bel revival della guerra in Libia? "Tripoli bel suol d'amore", sembrano cantare i motori dei Tornado in viaggio verso sud. E cosa si poteva aspettare di meglio il camerata La Russa, per poter sbavare il suo odio cieco nel mezzo di questo svolazzare di pezzole tricolori? In questi tristi giorni di festa, nei quali nessuno si è divertito, la retorica nazionalista ha vomitato i suoi microbi ovunque sia stato possibile, nel suo classico contorno di noia istituzionale alla quale siamo stati abituati sin da bambini. Con Garibaldi in esilio a Caprera, Mazzini morto da clandestino a Pisa con un nome inglese, è stato tutto un risuonare di traviate e inni inutili. Ma c'è un anniversario ben più importante da ricordare, tanto più vicino nel tempo quanto più vigliaccamente dimenticato. l'omicidio da parte del braccio armato dello stato, di Carlo Giuliani a Genova, così da rammentarci che siamo il paese che ha dato i natali a Bava Beccaris e a tanti altri "patrioti" dal grilletto facile. Questo è solo un promemoria.




SOLIDARIETA’ AGLI ARRESTATI DI SORANO

E' facile sputare sentenze quando si sente di essere dalla parte del più forte? Trovate piacere una volta tanto a provare la sensazione di onnipotenza che deriva dalle regole inventate dagli uomini? Lo chiedo a voi, concittadini appena benedetti dai vostri santoni preferiti, chissà come vi impietosirete quando vedrete l'appuntato con una benda sulla faccia o se disgraziatamente da tutta questa faccenda ne uscirà un morto. A scanso di equivoci, noi non stiamo cercando di giustificare il gesto (siete talmente bravi a leggere quello che vi fa più comodo...), ci stiamo solo domandando dov'è la vostra indignazione quando (e succede molto più spesso di quanto voi crediate) le parti si invertono e i sacchi neri si chiudono sulle facce di tanti ragazzi uccisi dai manutentori dell'ordine costituito. Il nostro dolore per i feriti è pari a quello che loro hanno provato sparando a sangue freddo a Carlo Giuliani a Genova, massacrando Marcello Lonzi e Stefano Cucchi in carcere, uccidendo per la strada Federico Aldovrandi a Ferrara, giocando a fare i cecchini con Gabriele Sandri e quel writer di Como, e tutte le altre volte nelle quali gli sbirri si sono sostituiti alla morte e hanno deciso che quelle vite non erano degne di essere vissute. La loro solerzia nel reprimere l'esuberanza giovanile è direttamente proporzionale al servilismo con il quale omaggiano i potenti. I sociologi possono evitare di sprecare tanto inchiostro: niente succede per caso, e anche i bravi ragazzi a volte si accorgono che c'è qualcosa che non funziona in questo perverso ordinamento chiamato democrazia.




SULLA NECESSITA’ O INEVITABILITA’ DELLA VIOLENZA


Salutando con complicità rivoluzionaria quest’inverno di rivolte, nel Mediterraneo così come in tutta Europa, vorremmo elencare alcune considerazioni utili se all’improvviso dovessimo esser presi per incantamento verso la sovversione dell’ordine capitalistico. Dopo la giornata del 14 dicembre scorso a Roma, alcuni professionisti della contestazione hanno fatto a gara a dissociarsi e, con il completo appoggio dell’informazione controllata dal potere, accusare i cosiddetti facinorosi di danneggiare, oltre alla sacralità della proprietà privata, anche la protesta degli studenti. Black Bloc, infiltrati, terroristi: tutto questo sfoggio di paranoia per un po’ di semplice ed innocente ginnastica rivoluzionaria. Quello di cui non si rendono conto, i cosiddetti pacifisti, è del danno che causano loro al movimento di protesta, avallando le tesi menzognere che il potere sostiene per legittimare sé stesso. Nei periodi prerivoluzionari, e più in generale, sempre, non bisogna mai dare ragione alla controrivoluzione qualsiasi cosa dica, mai ammettere un errore se te lo fa notare il potere, costantemente negare gli attacchi dell’informazione uniformata. Troviamo estremamente positiva l’assenza di ideologie che caratterizza il movimento di protesta attuale, ma riteniamo che sia utile ristabilire dei concetti che rimangono alla base delle rivolte, e rimarcare il giusto valore dei crimini, così chiamati dalla repressione legislativa odierna. Per esempio, vandalismi e devastazioni sono soltanto la reazione della vita che si trova di fronte alla grigia estetica contemporanea fondata su un urbanismo coercitivo; i furti, le rapine, servono solo a ristabilire il vero valore del denaro e delle merci, cioè nullo. Non ci risulta che i partigiani, così tanto idolatrati da questi nuovi pacifisti che citano costantemente la Resistenza, abbiano sconfitto i fascisti con i cortei non violenti e mettendo i fiori nei loro cannoni. Noi, da inguaribili edonisti quali siamo, non sentiamo assolutamente la necessità di azioni violente fini a sé stesse, ma al contempo, ci rendiamo conto della vastità degli interessi capitalistici, dell’assolutismo della sua propaganda, e dell’inevitabilità di una rottura per affermare il cambiamento radicale dell’esistenza. Le parole hanno una forza nascosta a seconda del loro utilizzo: la loro sofisticazione negli spazi determinati dal potere (televisioni, giornali, pedagogia scolastica, apparati statali e religiosi e tutto ciò che si trova incluso nella società dello spettacolo) ha determinato il suo successo di consenso. Perciò, se veramente cerchiamo il cambiamento radicale che costantemente urliamo nelle piazze, dobbiamo ripristinare il significato originale delle parole e darle un senso nuovo, funzionale ai nostri obiettivi. Quando l’ipocondriaco nazista Maroni, con il suo vestito verde da pagliaccio, invoca come il fantasma di un cadavere la democrazia e le sue leggi per poter comminare pene severe a chi contesta violentemente, dimentica di dire che quelle leggi hanno la loro base in un sistema violento, e che quella cosiddetta democrazia è stata sostenuta fino ad oggi da repressione, menzogne, omicidi, stragi; senza contare che il suo datore di lavoro è un pluripregiudicato latitante difeso da un apparato parastatale armato di voti dalla mafia (ma qui scadiamo nel ripetitivo, e non è il nostro stile). Alla luce di questa nuova esegesi, chi è il violento adesso? Il confine è sottile, ma decisivo. Che ci piaccia o no, siamo in una guerra dichiarata dalle classi privilegiate contro il resto dell’umanità: non l’abbiamo voluta noi, e dobbiamo pur difenderci, la violenza è inevitabile. Preferiamo veder rotolare la testa di qualche plutocrate in un lago di sangue, piuttosto che dover partecipare di nuovo al funerale di un nostro amico.



MANIFESTO MESOPOTAMIA

“Quando la realtà si fa immagine perde ogni pretesa di verità e diventa una delle sue tante rappresentazioni”

E’ da qui, tra il Tigri e l’Eufrate di una realtà asettica e monomorfa, che riesumiamo il cadavere di Dada. E’ un cadavere in ottimo stato di decomposizione, la terra è rimasta fertile e ha permesso ai suoi miceli di prosperare per miglia. Dada rimane dove non si può vedere, alle spalle dell’arte pronto a sgambettarla senza pietà, quella stessa arte che piace a tutti e permette ai suoi produttori di apparire sui rotocalchi patinati esibendo larghi sorrisi e sguardi rassicuranti. In questi tempi, tempi di onerose alleanze tra arte e mercato, il gusto estetico viene elaborato elettronicamente tramite una trama di possibilità oggettive e un ordito di convenienze economiche: quello che si forma è l’illusione dell’arte, un’immagine inconsistente che sfiora la memoria senza intaccarla e annoia i sensi dopo un superficiale esame, e allo stesso tempo riempie d’orgoglio i suoi produttori che gongolano nel mezzo di nuove definizioni ed etichette da brevettare. Il rumore assordante degli sbadigli che proviene dalle areate stanze dei musei ha risvegliato Dada, il cadavere elegante che si aggira di nuovo con il suo suicidio all’occhiello, pronto di nuovo a proclamarsi presidente lanciando carta igienica dal suo balcone, accettando ancora di farsi orinare addosso dichiarando la sua infallibilità: quando la vostra ultima opera verrà battuta sul registratore di cassa della dissoluzione dell’arte, Dada, il grande giudice della Storia, emetterà la sentenza di morte nei confronti del nuovo processo di conformazione. Dada, circondato da una pioggia di fiori, fluirà gioioso lungo le strade urbane e nei castelli occupati, soffocherà la noia con un nuovo scandalo gaudente, pulirà le sue scarpe sozze sugli zerbini del potere ammettendo la sua volontà di diventare papa.
Dada, l’installazione mobile che non teme agenti atmosferici…






MANIFESTO INUTILITARISTA

E’ con irragionevole sdegno e malcelato ottimismo che lanciamo l’invettiva contro la dittatura dell’utile: in una società in cui tutti sono utili e nessuno è indispensabile, noi rimarchiamo la nostra orgogliosa inutilità. Dopo duecento anni di ricerca dell’utile, siamo ormai pronti a ricevere i frutti della nostra inutilità. Leggiamo dal Dizionario Inutilitarista: “Inutile: qualsiasi gesto, azione, parola, fotomontaggio, dipinto, barzelletta non recuperabile dalla menzogna capitalista, che anzi sia per essa deleteria”. Uno dei terreni di scontro irrinunciabile per gli inutilitaristi è il lavoro: il lavoro, inteso nel senso capitalistico di impiego forzato di individui per il raggiungimento di un utile, è inevitabilmente destinato all’estinzione. Ne osserviamo ogni giorno la crescente decomposizione, sono finiti i tempi nei quali il capitalismo era costretto a reclutare lavoratori perché c’erano lavori da compiere. Il punto di rottura è avvenuto, adesso è costretto a creare lavori perché ci sono dei lavoratori, le irrimediabili crisi celate dietro la parola, sempre alla moda, “disoccupazione”, non sono altro che le continue ammissioni del carattere temporaneo del capitalismo. Non siamo in grado di prevederne i tempi, troppe variabili incontrollate ce lo impediscono, ma la fiducia che ciò avverrà guiderà le nostre azioni inutili fino al raggiungimento dei nostri obiettivi. Immaginate che una eccezionale tempesta elettromagnetica metta fuori uso tutti i server del pianeta. Le persone, abituate a servirsi di internet per comunicare, informarsi, conoscersi, difficilmente rinunceranno a farlo da un giorno all’altro, e saranno costrette a cercare altri modi che ne garantiscano comunque la gratuità: questa sarebbe una variabile funzionale all’azione inutilitarista. In ogni modo, bruciando le illusioni, il cambiamento avverrà nel quotidiano, “Chi parla di rivoluzione senza riferirsi al quotidiano, ha un cadavere in bocca”, saranno i piccoli gesti di ogni giorno che determineranno la velocità del crollo dell’utilitarismo, il nostro acerrimo nemico. Le pratiche della gratuità e del dono, rese di fatto illegali da una società che contabilizza i desideri per rivenderli al miglior offerente, dovranno essere depurate dalle loro scorie di propaganda commerciale e, in un generale slittamento di prospettiva, tornare a essere ciò che sono sempre state, cioè azioni disinteressate in un contesto amoroso che abbia come unico fine il raggiungimento dei desideri. Nella fiera multimediale dell’odierno sembra che i segreti siano stati banditi dalla realtà, ma di fatto ne esistono di inconfessabili che la classe attualmente dominante cerca con ogni suo sforzo di far rimanere tali. Basterà un semplice cambiamento del punto di vista a smascherarli, manomettendo le serrature delle gabbie nelle quali stiamo vivendo in cattività. Un ignorante ricco è un ricco, ma un ignorante povero rimane pur sempre un ignorante: rendersi conto della nostra condizione di inutilità in un mondo che ricerca soltanto l’accumulazione e non l’affinamento delle sensazioni, ci libererà degli obblighi e delle paranoie che disturbano la nostra mente. Un tragitto controvento è sempre il più lungo, ma l’inutilità è necessaria, il progresso la implica.
INUTILITA’ E’ AFFINAMENTO DELLA CRITICA.

COLLETTIVO ANTIKUNST




ANTIKUNST: L’INUTILITA’ AL SERVIZIO DELLA RIVOLUZIONE

Ciò che cerca ANTIKUNST è il superamento della condizione umana di sottomissione, per riaffermare con ogni mezzo la centralità dei desideri del vivente in opposizione alla loro effimera rappresentazione spettacolare. Denunciando la politica delle emergenze adottata costantemente dal sistema democratico-borghese, ANTIKUNST si adopera per affermare la sola vera emergenza, cioè la dissoluzione immediata della dittatura della noia e della banalità che sta governando la nostra esistenza. ANTIKUNST non è una provocazione: non cerchiamo pubblicità perché non abbiamo niente da vendere, l’unico successo che ci interessa è quello della nostra vita. ANTIKUNST non vuole creare una novità nella costruzione plastica per riarredare qualche insensato museo nazionale o entrare nel mercato dell’arte dalla porta principale: vogliamo introdurci nottetempo nelle strutture capitaliste per svaligiarne la falsa apparenza e il dannoso entusiasmo, e sostituirli con la nostra costruttiva inutilità. L’azione di ANTIKUNST è mirata a far coincidere l’immediato con le speranze, l’attimo con il ricordo, la realtà con il sogno, l’istante del vivente con il desiderio di beatitudine. Non abbiamo velleità progressiste (per questo non leggerete mai un nostro scritto su “la repubblica”…), ma la nostra attenzione è focalizzata sul presente: vogliamo tutto quello che ci spetta, qui e ora, perché siamo vivi e ciò è già di per sé sufficiente. ANTIKUNST non deve giustificare la sua poetica attingendo dalla cloaca delle attuali referenze spettacolari: la sua esistenza è giustificata dalla Storia, è la naturale evoluzione umana del desiderio.




DIECI ANNI FA, DIECI ANNI DOPO

Fatalmente, dopo dieci anni di menzogne e terrori, la reazione capitalistica sta ricevendo i suoi frutti malati: le menti squilibrate dalla sofisticazione spettacolare si stanno armando per la santa guerra europea contro la liberazione dal giogo mercantile. Quella messa in atto in Norvegia da uno dei tanti bracci armati del Vaticano è una strage voluta, inseguita dai vertici del capitalismo mondiale, che dal 2001 stanno cercando di creare un nemico fittizio a cui dare tutte le colpe del proprio atteggiamento criminale. Il massacro di Genova, e subito dopo il crollo manovrato delle torri gemelle, furono il punto di partenza della controffensiva mirata a disgregare sul nascere i movimenti radicali che si stavano formando nel ventre dell’Impero: dopo l’inaugurazione di un millennio che doveva consacrare nell’eternità la schiavizzazione capitalista, una nuova generale presa di coscienza attraversò l’occidente, instillando qua e là il dubbio e la perplessità nei confronti delle rappresentazioni della realtà fornite dalla classe dominante. La ferocia insensata da belve frustrate quali apparivano le forze dell’ordine fasciste italiane, con l’avallo della politica mondiale, non è giustificata se non dalla paura che la presa di coscienza divenisse definitiva, e il crollo dell’economia di mercato avvenisse per l’azione consapevole dei suoi sottoposti e non, come succederà inevitabilmente, per la propria decomposizione. La portata storica della repressione di quell’assalto al potere non è ancora stata ben elaborata dall’umanità, grazie alle dissimulazioni che vennero attuate allora, e che continuano tutt’oggi, dei mezzi di comunicazione asserviti al capitale. Molte sono state le prove di stupidità e servilismo fornite in questi ultimi dieci anni dai giornalisti stipendiati dai grandi editori e da chi controlla la cosiddetta opinione pubblica: la progressiva velocizzazione delle notizie sta tradendo in ogni occasione la malafede di questi squallidi personaggi che, in una patetica gara alla ricerca dell’effimero successo mediatico, si affrettano a costruire le più utili menzogne funzionali al potere. Ciò è successo anche per quanto riguarda la strage di Oslo: la demenza interessata di Feltri e dei suoi camerati fuori dal tempo e le sbavate del maiale Borghezio, il marciume filo cattolico vomitato dal Corriere della Sera e da tutti i giornali occidentali, compresa la Repubblica con le sue velleità progressiste staliniste; ma anche l’inverosimile rivendicazione dell’integralismo opposto, ormai marionetta armata nelle mani delle mire concorrenziali delle cosiddette “economie emergenti”. L’alternativa della rete sta dando risvolti positivi nella ricerca delle verità continuamente insabbiate, ma le crescenti difficoltà con le quali i gestori la ostacolano (non dimentichiamoci che internet è un mezzo ancora in larga parte in mano al mercato e che da esso ancora dipende), può far correre il rischio che la sua fruizione rimanga nelle possibilità di un élite specializzata, e che il carattere virtuale possa far distogliere l’attenzione dalla realtà materiale (d’altra parte, è sempre un frutto della società dello spettacolo, e in quanto tale, destinato a marcire).
Pochi mesi dopo Genova, quasi come per distoglierne l’attenzione, la strage di New York fu strumentalizzata dal potere capitalista per far credere all’umanità intera che i suoi unici nemici erano chi aveva buttato giù le torri, e non anche chi le aveva costruite. Tutto ciò fornì il pretesto (costruito o no, non siamo ancora in grado di dirlo, ma a molti quel attacco ha ricordato Pearl Harbour) per una nuova stretta sul controllo sociale e un rilancio in grande stile di un’economia esausta tramite il vecchio trucco delle guerre, quindi con l’esaurimento degli arsenali e l’ennesima corsa al riarmo, con la devastazione e la ricostruzione delle zone dei conflitti, e tutto l’indotto che ciò comporta. Esautorata anche questa infame risorsa, ormai l’economia si trova di fronte ad una grande crisi strutturale che implicherà quasi sicuramente una restaurazione dei propri obiettivi, senza comunque intaccare i privilegi, che ne sono sostanzialmente l’ideologia fondante. Il proletariato, che in tutto questo scenario rimane ancora una figura marginale, ricoprirà il ruolo dello sparring-partner che con i suoi sacrifici imposti alimenterà la propria sottomissione. Ma nonostante tutte queste manifestazioni di prepotenza del capitalismo, la presa di coscienza si sta di nuovo facendo largo dopo un periodo di assopimento causato da un benessere castrante e mistificatore, e si prepara compatta verso le nuove scadenze della lotta: la resistenza dei compagni greci di fronte ai ricatti mercantili dell’Unione dei banchieri europei, la difesa del territorio naturale che sta riunendo le varie realtà antagoniste in Italia, le banlieue che bruciano in Francia, e tutte le altre prove di intolleranza verso un potere che ormai ha gettato la maschera e non è più in grado di sofisticare la propria realtà di fronte al debordante desiderio di vivere rivendicato in tutte le sue forme dall’umanità. “Il proletariato ama la festa, non la battaglia”, ed è questo il suo obiettivo, ciò che ama. 



SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI DELL’INTIFADA PERQUISITI

Succede che, nella “rossa” Toscana divenuta sempre più grigia per le speculazioni edilizie, un pubblico ministero non trovi nient’altro di meglio da fare che perseguitare due persone per il solo fatto di aver retto uno striscione e, con metodi degni della Gestapo, sequestrare materiale poco commerciabile e quindi assai pericoloso. Le perquisizioni arbitrarie eseguite a San Miniato ai danni di due compagni dell’intifada si inquadrano nel solito progetto provocatorio dell’ordine costituito, atto ad innervosire il movimento di opposizione al sistema, tanto più alla vigilia di una scadenza importante come il 15 ottobre. Quello che determina il balzo in avanti della repressione sta nell’eccessiva fumosità delle accuse, e che la legge si arroghi il diritto di difendere un gruppo neo-nazista come la Lega Nord, che nonostante tutto il clamore che sollevano le sue infantili bravate, non è altro che l’ennesima variazione della proposta democratico-spettacolare che sta svendendo se stessa. E’ da un po’ di tempo che il potere in tutte le sue sfaccettature sta serrando le fila per cercare di arginare la protesta sociale che serpeggia nel paese e che rischia di intaccare i suoi privilegi, aiutato in questo dai nuovi diligenti legalisti quali dipietristi, renzisti, Travaglio, Saviano, Grillo e tutti gli altri evocatori della giustizia in odore di prossime elezioni. E’ sempre il solito dilemma: è giusto ribellarsi a delle leggi inventate dai padroni per i padroni che detengono il monopolio della violenza e lo usano per i loro criminosi scopi? Quello che sta succedendo da anni in Val di Susa è emblematico, per non parlare della situazione degli immigrati, e più in generale il rinnovato nervosismo bellicoso delle forze dell’ordine, che non stanno perdendo occasione per sfoggiare le loro moderne armi repressive (e poi dovremmo provare compassione se non hanno la benzina per venirci a picchiare…). La giustizia si fa spettacolo quando indaga Berlusconi e il suo rivoltante circo, ma si fa spietata quando non ha nulla da ricavare dalle sue vittime. La nostra generazione lo ha visto a Genova e lì ha perso la sua innocenza, quindi non ha più paura di essere giudicata colpevole dalla vostre leggi.
L’UNICO VERDE CHE CI PIACE E’ QUELLO DELLE NOSTRE COLLINE! (e della marijuana…) 




“QUESTA SI CHE E’ INDIGNAZIONE!”
Scritta su muro, piazza s. giovanni, roma, 15 ottobre 2011

Partiamo da un dato oggettivo: le ultime tre manifestazioni di una certa rilevanza nazionale si sono concluse, con differenti dinamiche, con scontri violenti. Il 14 dicembre gli studenti hanno portato avanti il proprio percorso di autogestione della lotta inaugurando la resistenza popolare nei confronti delle nuove politiche economiche; il 3 luglio in Val Susa la resistenza si è consolidata ed estesa alle province dell’impero usate come cantieri speculativi dalla mafia capitalista; il 15 ottobre il corteo degli indignati ha concluso in maniera creativa un pomeriggio di sole e una passeggiata altrimenti inutile. Il dato statistico invita a considerare la costanza e l’ampliamento dei soggetti implicati nella lotta: ciò sta a significare che la strada della mobilitazione permanente sta dando i suoi frutti e, viceversa, si può constatare il fallimento della propaganda mercantil-spettacolare la quale, nei giorni seguenti alle manifestazioni, ha messo in moto il proprio esercito di delatori, detrattori, demistificatori, democraticatori, a quanto pare inutilmente. Anche stavolta, ne siamo certi, tra una settimana l’informazione di regime si sarà già dimenticata del 15 ottobre, tornando ad occuparsi di delitti morbosi o dell’altalena delle borse o di qualsiasi altra cazzata che distolga l’attenzione dalla realtà quotidiana. E’ vergognoso come giornali considerati, come dire, “riformisti(?)”, quali la repubblica o l’unità abbiano affrontato la giornata del 15 ottobre, appoggiando senza uno straccio di critica le tesi statali, e creando ad arte notizie sfacciatamente false, soltanto per lisciare il pelo al circolo dei propri lettori “pacifisti” e cercare di allargarlo ai moderati, magari anche cattolici. Nella bara di Gandhi non è rimasta che la polvere, e i moderatori che vorrebbero cortei di persone inermi più che indignate, hanno già avuto la loro risposta nella piazza di San Giovanni. Comunque, al di là dei proclami di tolleranza zero (o intolleranza massima, che è uguale) o leggi speciali vomitati dal fascista Maroni e dagli altri suoi camerati, l’unico interesse che proviamo nei confronti dei discorsi di questa gentaglia riguarda l’opportunità o meno di finire in galera: il solo motivo per il quale le loro voci hanno una qualche influenza su di noi è che ancora si riservano il diritto di decidere della nostra libertà per i loro luridi scopi, difesi in questo da un esercito di canaglie che non si fa scrupoli ad attaccare persone disarmate (i momenti più pericolosi del corteo di sabato sono state le scorribande dei blindati tra la folla, e a nessuno è sembrato fossero senza benzina…).
Per il resto, dobbiamo considerare l’idea di portare avanti un discorso radicalmente alternativo, che si defili completamente dalla prospettiva mercantile e che si alieni dalle logiche spettacolari, una pratica quotidiana di rifiuto di uno Stato ormai marcescente che è impossibilitato a garantire una risposta alla crisi che ha aiutato a produrre, e della legislazione, che altro non serve se non a conservare i privilegi di chi quella legislazione l’ha creata, non certo per scopi filantropici, ed ha interesse a mantenerla tale. Se veramente ne siamo consapevoli, sarà un gioco costruire sulle macerie di un’economia mafiosa che affama i suoi sottoposti, sarà una Liberazione rifiutarsi di obbedire e ascoltare soltanto i propri desideri. Bisognerà iniziare anche un’analisi sull’efficacia delle manifestazioni nella loro concezione classica: se questa è la tendenza, alla fine ci faremo male sul serio, i nostri nemici sono sempre più equipaggiati e sono della stessa pasta di israeliani, o iraniani, o siriani o di qualsiasi altro sbirro nella storia del mondo. Quando si deciderà una mobilitazione, proviamo ad attuare la pratica della festa diffusa, momenti di socialità senza fine lucrativo, musica a tutto volume, il gioco di vivere che si sgancia dalle etichette e dalla ripetizione frustrante, brindiamo al presente e lasciamo che i lacrimogeni vengano usati solo in giochetti omoerotici da caserma. La vita è nostra e ne dobbiamo godere, il resto sono solo discorsi.




ACCELERARE IL FALLIMENTO DEL CAPITALISMO

Con le insoddisfacenti dimissioni del capo della mafia e il conseguente varo di un governo di neo-democristiani, militari e strozzini, si è consumato con l’ennesimo fallimento un’opportunità  di cambiamento auspicato da larghi strati della società civile. Adesso il patetico teatrino della politica protrarrà la sua agonia con i suoi giochini di potere, scandali mediatici e compromessi economici ai danni dei ceti più deboli di questa falsa democrazia che in questo caso come non mai non ha avuto voce in capitolo nella scelta dei propri aguzzini. Un governo che cercherà con una serie di criminali tentativi di salvare un manipolo di delinquenti che da anni speculano sulla vita delle popolazioni mondiali: non esiste crisi che non sia la crisi del capitalismo, e le principali vittime di essa saranno coloro i quali non hanno nessun interesse affinché questa crisi si risolva. Ci rendiamo conto che il periodo storico non è dei più favorevoli: l’apparato repressivo non è mai stato così potente e destinato a giocare un ruolo determinante nel mantenimento dell’ordine capitalista, il genocidio sistematico dell’umanità viene usato costantemente per combattere l’aumento della popolazione mondiale (malattie mortali, disastri naturali, guerre inutili fomentate da separazioni inesistenti, le cosiddette “fatalità”, ecc…); ma se veramente fallisse l’economia mondiale, cosa potrebbe succedere di negativo? Si guasterebbe il cibo? I mezzi di produzione non funzionerebbero più? Crollerebbero le case? Niente di tutto ciò, basterebbe resistere alla reazione frustrata degli attuali padroni del mondo, e poi non ci sarebbe più l’obbligo di sottostare ai ricatti di un mercato iniquo e settario, non si dovrebbe più lavorare sottopagati per mantenere i privilegi di classi inutili come quelle dirigenziale e spettacolare, non ci sarebbe più bisogno di condurre una vita nella paura del futuro ma godersi il presente nella piena consapevolezza dei propri desideri. Il capitalismo è la più grande truffa perpetrata ai danni dell’umanità: perciò bisogna sabotarla, boicottarla, rivoltarla, portare avanti l’immaginazione di ciò che è possibile, fino a quando essa esploderà vittima delle proprie contraddizioni.




COMUNICATO N. 3: PIOVE, GOVERNO TECNICO!

Il liberismo è il proseguimento del nazismo, con altri mezzi. Non vi annoieremo oltremodo con analisi sul tempo presente e sulla situazione economica, già in troppi lo fanno: ci interessa di più la nostra felicità e l’avventura reale per raggiungerla. Quando parliamo di felicità intendiamo un’idea nuova in occidente come nel resto del globo, qualcosa che sembra non interessi più nessuno. Una critica totale alle condizioni esistenti di controllo dell’intrattenimento, verso la decolonizzazione del tempo libero e la liberazione delle nostre esistenze dal lavoro e dalle dittature degli stati. QUESTO VUOL ESSERE SOLTANTO UN PROMEMORIA, niente di innovativo o progressista, perché troppa merce scadente ci sta facendo perdere la concentrazione dai nostri desideri. Nessuna nuova teoria, ché finirebbe su qualche polveroso scaffale nella biblioteca di un feticista delle avanguardie. La perversa sodomia che ci sta governando non riuscirà mai più a rifarsi una verginità, non ne ha più le condizioni, non ha più lavori da farci fare perché non ha mai considerato la tragedia della sopravvivenza nella sua interezza. Vogliamo dare una passata di colore e gioco alla critica che l’umanità sta muovendo verso le cause della sua miseria, cercando il senso di una costruzione che non sia soltanto sedativa ma che debelli completamente la malattia. La colonna sonora dell’assalto alle nostre prerogative esistenziali, con Kim Gordon alla voce e Chuck Berry alla chitarra: questo vogliamo scrivere. E’ ora che i nostri sogni acquistino la consistenza della realtà, e noi tutti siamo le persone più adatte a portare a termine questo scopo. Siamo il particolare che diventa il protagonista, l’attimo perfetto che diventa la storia. L’urgenza rivoluzionaria è impellente come la voglia di pisciare, e non possiamo esimerci dal farla.




L’IMPOTENZA FASCISTA IRROMPE DI NUOVO SULLE PAGINE PATINATE DELL’ATTUALITA’

Ancora una volta il vero spirito italico si proietta sulla realtà quando è sicuro che l’antagonista sia abbastanza debole: i fascisti sono tornati ad ornare di nero l’attualità con la loro ideologia di morte proprio adesso che il potere si vede costretto a produrre un surplus di violenza per farsi accettare, difendendo così i propri figli un po’ inquieti come bambinetti viziati. L’ignoranza monitorata della società dello spettacolo ha creato i presupposti per questo improbabile revival, decostruendo la memoria storica in funzione di un’accettazione acritica del regime veterodemocratico; l’estremizzazione delle pratiche disciplinari sulla totalità della vita ha legittimato la perversione e la brutalità dei rapporti sociali; il controllo dei mezzi d’informazione da parte dell’élite capitalista fomenta le rivalità tra le masse schiavizzate da lavori sempre più inutili con il conseguente sviluppo degli atteggiamenti paranoici di sospetto, pregiudizio, invidia, odio; la continua repressione dei desideri naturali dell’essere umano causa eccessi di aggressività principalmente nei confronti di bersagli indifesi.
Nonostante l’informazione di regime prema con tutta la sua prima linea di fuoco per far passare gli omicidi fascisti di Firenze come gesta di uno squilibrato, la realtà dei fatti mette a nudo la formale impunità di cui godono le formazioni di estrema destra e il loro ruolo di braccio armato funzionale al sistema capitalistico. Niente succede per caso, e anche questo episodio ha radici lontane, in una guerra civile interrotta troppo presto e in una riabilitazione troppo veloce e interessata, che ha permesso ai fascisti di appoggiare governi dai quali hanno sempre ricevuto privilegi, in cambio di una propaganda razzista che ha sviato le masse proletarie dall’individuazione dei propri veri nemici.  Il fascismo è lo stato mentale del potere, è la negazione della vita per puro egoismo materiale, è la distruzione dei desideri per far posto all’odio accecante manovrato dalle gerarchie capitaliste, è la difesa del regime disciplinare e panoptico che ci sta trasformando in grigi automi parcellizzati. La proliferazione di gruppi fascisti (lega nord, casa pound, e altre comitive di squallidi benpensanti) sono il frutto del processo di atomizzazione delle gerarchie che ci vorrebbe tutti a guardia della morale borghese (il vecchio concetto di cittadino-soldato dell’età classica); le nuove squadracce dall’abbigliamento androgino imbastite di cocaina rinunciano a vivere in nome di un cameratismo ottuso e inutile, sublimando le loro voglie soffocate in un’esplosione di violenza vigliacca strumentale al potere. La faccia tosta del camerata Iannone, ras delle squadracce di casa pound, è allo stesso tempo ridicola e rivelatrice della natura di questi idioti gendarmi dell’ordine e dell’italica patria: la sua paura è giustificata, gli schieramenti si stanno delineando. Da una parte chi continua ad accettare ed adagiarsi su questo sistema di sfruttamento della sopravvivenza in tutte le sue forme, dall’altra chi ha intenzione di farla finita con le logiche gerarchiche e la “cultura del lavoro”, con ogni mezzo necessario; tra chi ha paura di vivere e chi ancora deve iniziare a godere della propria vita liberamente. Noi siamo pronti allo scontro: vedremo se gli orgogliosi petti di questi novelli Graziani saranno preparati per l’appuntamento con le loro responsabilità, o se la loro ideologia di morte li seppellirà nel letamaio della storia dove meritano di marcire.

COLLETTIVO ANTIKUNST





2012: ANNO INTERNAZIONALE DELLA RI/EVOLUZIONE

I sopralluoghi sono finiti: la prossima rivolta sarà anche l’ultima.
L’unica crisi che ci interessa risolvere è quella dei nostri desideri: nonostante tutte le Forze della Repressione Unite (FRU-FRU) premano con tutti i loro cacciabombardieri per provocare la terza guerra mondiale, non si sono ancora resi conto che non troveranno mai abbastanza comparse per accelerare i loro neutroni, e tutti i loro soldi questa volta non gli serviranno sullo sfondo dell’estinzione del genere umano.
L’anno è iniziato con buone notizie: Tremaglia e Verzè stanno concimando la terra, l’albero del potere sta perdendo le foglie e quelle nuove sono già gialle.
Assaltare le piazze Tahrir dell’esistenza e defenestrare le giunte militari  custodi della schiavitù, dispensatrici di tristezza.
“Che torni l’amore ad illuminare le nostre giornate, e non tristi bagliori al neon e funghi radioattivi!”, così parlò Wilhelm Reich dalla mensa di carità.
Imbandiamo le tavole per la resistenza all’inverno, in attesa della primavera proletaria quando Benjamin offrirà fumo di qualità ai ribelli stanchi. NO ALLE SPECIALIZZAZIONI, SI’ ALLE SPECIALITA’.

“Forse non sarà l’ultimo inverno, altri ne seguiranno:
quando tornerò da te, amore, Maggio sarà fiorito e l’assedio sarà finito,
ti scriverò solo parole dolci e cancellerò tutte le imprecazioni,
anche i sogni saranno verdi e l’arte sarà la nostra vita…

E se la mia vita dovesse finire prima del grande freddo,
non desidero  una vendetta, ma una maestosa festa:
imbandite le tavole con frutti succulenti e date inizio alle danze;
raccontate ai bambini di quando saranno felici.”


La nostra presenza sugli elaborati elettronici è soltanto un passaggio in attesa del loro inevitabile superamento, non vogliamo diventare solo un megabyte e finire in una discarica di silicio africana. Noi siamo la realtà, e la nostra inutilità è qui a dimostrarlo.
Quest’ anno non ci sono ricorrenze particolari, tocca a noi dare un senso a questo numero, riappropriamoci del volano della storia e viriamo in direzione ostinata e contraria.
Non leggete i giornali, ma ritagliatene i titoli e disponeteli come più vi piace: ben presto diventeranno realtà…
Un urbanismo eccessivo ed insolente ci ha fatto dimenticare quanto siamo belli, ci hanno murati vivi nelle galere metropolitane, hanno coperto il cielo impedendo ai nostri sogni di sfolgorare, hanno creato l’uguaglianza basandosi sulla più triste delle loro caricature, hanno decretato illegale la notte e noioso il giorno, hanno reso eterna la soluzione finale, collegandoci ad elettrodi negativi hanno azzerato la nostra coscienza ribelle con la spazzatura che ci costringono a produrre.
Volete qualcosa di cui essere fieri? Gli operai italiani erano celebri in Europa per il loro assenteismo: adesso cos’è tutta questa smania di lavorare!? State forse rinnegando le vostre radici? Non è per niente patriottico…


ANTIKUNST



NON LEGGETE LA REPUBBLICA!

La difficoltà pratica nella quale si trova il movimento di contestazione all’alta velocità nel farsi accettare in larghi strati della popolazione è comune a quella di qualsiasi altro movimento di contestazione al potere costituito operante nella storia, e non ha niente a che vedere con la cosiddetta deriva violenta delle sue azioni. Risiede come sempre nelle eterodosse possibilità della propaganda dominante (principalmente tramite il suo apparato tecnologico) di sofisticare la realtà a proprio favore e conseguentemente di mantenere la repressione poliziesca ad un livello accettabile dalla maggioranza dei suoi sottoposti, cioè da coloro i quali le menzogne arbitrarie del regime sono state accettate, sostituendosi ad un pensiero individuale e una visione indipendente della realtà dei fatti. Ed è proprio questa sordità nei confronti della percezione del pericolo di un’onnipresente propaganda che ha sempre determinato la fine di ogni pratica di contestazione. Quando il movimento ha accettato le regole della propaganda diventando pacifico, il potere lo ha inglobato sterilizzandolo da ogni sua possibilità di cambiamento della società, e defecandolo poi sotto forma di gadget e leggende commercializzabili. Quando, viceversa, il movimento ha negato radicalmente la propaganda senza avere un adeguato supporto popolare, si è ritrovato a contare i morti della violenza gerarchica, sterilizzato dei suoi propositi di cambiamento tramite il nichilismo e la paura. In ogni caso il potere è rimasto al suo posto, ha vacillato, si è adattato, ha affinato le proprie tecniche mistificatorie e repressive, ma non ha mai ceduto il passo, se non per brevissimi momenti e in contesti circoscritti.
In questo particolare periodo storico, il potere sta affrontando una delle sue cicliche crisi di legittimità: lo vediamo ogni giorno dalle dichiarazioni dei suoi personaggi, sempre più strafottenti e provocatorie, che lasciano trasparire la difficoltà e l’incapacità di affrontare la situazione; dal rinnegamento delle proprie teorie fondanti che gli hanno permesso di comandare col consenso dei sottoposti; dal nervosismo sempre più esasperato dei suoi tutori dell’ordine (cioè i nostri nemici più prossimi, coloro con i quali abbiamo a che fare quotidianamente), sempre più pronti ad impugnare il loro sempre più moderno armamentario, e sempre più numericamente inseriti nella società. Le cause di queste debolezze possono essere ascritte alla necessità imprescindibile di ogni potere di cambiare la propria forma ogniqualvolta venga inevitabilmente smascherato per il suo carattere menzognero; ma oltre a questo, c’è una variante particolare, che non si era mai presentata nella storia in queste proporzioni: la possibilità concreta di intaccare irreversibilmente la sua propaganda, l’occasione di allargare le falle create dalla sua opulenza tramite la controinformazione diffusa e la pratica delle alternative possibili. Siamo ben lungi dal provocarne il crollo (ed è questo il nostro unico rammarico, ed è da qui che viene la nostra paura di invecchiare), ma la farfalla ha sbattuto le ali e ciò può diventare tempesta. Quello che sta succedendo in Val Susa è, per visibilità attuale e per la gamma dei soggetti coinvolti a vario titolo nello scontro, il campo principale sul quale giocare le nostre possibilità di cambiamento. Dal momento che nessun partito, ideale, credo o altra costruzione metafisica sono riusciti ad ingabbiare la protesta, la lotta è per l’affermazione delle nostre vite contro la reificazione dell’esistenza.
Massimo Tartaglia




ITALIA MERDA

In un paese in decadenza che ha perso ogni sua parvenza democratica, nuovi poteri cercano di accaparrarsi i vecchi privilegi adesso che il nano di Arcore ha indecorosamente terminato il suo regno. I legalisti de “La Repubblica”, orfani tristi di Berlusconi, si fanno paladini della giustizia borghese cercando di costruire il loro consenso su un’altra negazione. Ma è ormai evidente la difficoltà delle istituzioni di contenere l’illegalità di massa: gli appelli alla delazione che cadono nel vuoto, l’astensionismo elettorale e il crescente fastidio verso le forze dell’ordine, renderanno ardua la vita dei prossimi governanti Grillo, Travaglio, Scalfari e il camerata Saviano (che, tra una lettura di Evola e l’altra, sta facendo vedere la sua versione più patetica). Neanche le esegesi della propaganda padronale sugli ultimi accadimenti italiani è riuscita ad aumentare minimamente il consenso verso il potere, anzi ne ha smascherato la faccia più ignobile e sleale. La bomba di Brindisi è emblematica, con le alte cariche del potere giudiziario che si spendevano nello scagionare la mafia ed elogiarne il carattere patriarcale, come ogni buon italiano dovrebbe fare; pochi giorni dopo Manganelli dichiara che il principale pericolo per il paese sono gli anarchici, collegando implicitamente questa accusa a qualsiasi fatto di terrore è avvenuto o possa avvenire in Italia. Infine viene fuori, quando ormai i cadaveri sono freddi e le macerie tolte, che una mente insana creata dalla perversione spettacolare in stile americano, è l’autrice di questa azione, nel contorno di dichiarazioni sobrie a piè di pagina. Ormai le masse proletarie ne hanno abbastanza della loro condizione di sottomissione ad un potere che non ha più nessuna legittimità (se mai ne avesse avuta): per misurare la loro considerazione nei nostri confronti basta vedere come crollano le fabbriche dove ci costringono a lavorare, o come ci sguinzagliano contro mandrie di sbirri imbastiti di cocaina non appena osiamo alzare la testa. Il titolo è un invito a tifare rivolta, contro, per esempio, una nazionale di giocatori d’azzardo che ci umiliano ogni giorno ostentando la loro eccessiva ricchezza, in prospettiva di un più generale ribaltamento dello stato e delle gerarchie custodi dei privilegi dei potenti.




LA RECENSIONE DEL MESE
REMIGIO TRISTONI: “VIA DALLA VITA”

La storia è pressappoco questa: un giovane scrittore vuole pubblicare il grande romanzo dell’humor nero, ma per mantenersi è infognato in un frustrante lavoro di sceneggiatore di film pornografici: orge, pompini, storie di uomini di stato con prostitute dedite al bondage gli faranno perdere di vista il suo reale obiettivo, fino a quando un giorno un’ambigua trama di pedofilia provinciale lo farà arrestare e passerà il resto della sua breve vita in un manicomio criminale, dove un infermiere sadico, che possiede le copie di tutti i suoi film, lo userà come cavia per elettrochoc illegali; morirà durante le riprese di uno snuff movie impiccato con le catene da neve dell’auto sportiva del primario dell’ospedale. Un triste spaccato odierno sulla difficoltà dei laureati di confrontarsi con una società in declino, la stessa società che una volta si nutriva di loro per magnificare la sua grandezza, adesso li usa per tappare con i loro cadaveri le falle dei propri difetti strutturali. La scrittura scorre lentamente, un’agonia mentale che non trova sbocchi di genialità, ma rende bene l’idea delle torture atroci delle quali è vittima il protagonista. Vi consiglio la lettura se non avete più fiducia nel futuro e la vostra mente è ottenebrata dal male. Per tutti gli altri, risparmiate i soldi del libro e comprateci un biglietto del treno per una località di mare, visto che le previsioni per i prossimi giorni promettono sole e aria ventilata.
AK




CE N’EST QU’UNE FIN…

Le parole contengono in esse stesse un’azione, il linguaggio reale libera queste azioni che quindi diventano reali e agiscono sulla realtà, determinando in maniera più o meno incisiva gli accadimenti e i loro sviluppi. Un discorso detto a voce influenza l’ambiente in cui viene annunciato, e di conseguenza le azioni delle persone presenti in quell’ambiente. Può anche essere il semplice voltarsi per aver udito un suono, le vibrazioni sonore che raggiungono il corpo di una mente che neanche sta ascoltando, oppure accendere il meccanismo che genera un’idea o una risposta. In ogni caso, le parole agiscono sulla realtà, e in un tempo più o meno lungo, determinano una reazione degli individui reali. Le parole scritte hanno una capacità di influenza logicamente minore sulla realtà immediata, anche se probabilmente la loro incidenza sul pensiero è superiore. Ma hanno degli evidenti limiti: la loro accumulazione tende a logorare il valore d’uso delle parole e sterilizzare l’azione che esse contengono; oltretutto sono facilmente manipolabili da coloro che le accumulano e hanno la possibilità di attuarne una produzione seriale. Se poi alla riproduzione ossessiva aggiungiamo una rifinitura estetica elettronica (luci, colori, trucchi visivi, tecnologia invasiva), le parole divengono un orpello di un quadro che non rappresenta niente. Per questo abbiamo deciso di farla finita col sistema di accumulazione delle parole, per tornare alla realtà del quotidiano e all’immaginazione di ciò che è possibile, l’unico atto che ci può liberare dalla dittatura delle parole accumulate e ristabilire il loro senso originario o crearne uno completamente nuovo funzionale ai nostri obiettivi. Il potenziale di un colloquio vocale, unico e irripetibile, è infinitamente superiore ad un discorso, per quanto giusto, scritto su un computer nel mezzo di una cloaca di altre parole accumulate e riproducibili. Il primo agisce immediatamente sulla realtà, determinandone in qualche maniera gli sviluppi successivi; il secondo può anche non essere recepito da nessuno e alimentare la solitudine di chi lo scrive, oppure, nella migliore delle ipotesi, confondersi nel mucchio in attesa che questo strabordi. I no-tav non partono da casa incappucciati, ma si coprono il volto quando iniziano a piovere lacrimogeni; la dicitura “agenti feriti” dovrebbe essere seguita dai referti medici che parlano di intossicazioni respiratorie e slogature alle giunture; il corteo di Taranto non ha agito violentemente, ma è stato impossibilitato a parlare da chi detiene i mezzi di riproduzione delle parole accumulate. Vedete bene che la realtà è decisamente diversa dalla rappresentazione che le dà, per esempio, “La Repubblica”. Tante piccole individualità vocianti possono agire sugli accadimenti molto più di un blog o una pagina facebook con milioni di lettori.

BRACCIO POLITICO DEL COLLETTIVO ANTIKUNST




STORIA PATETICA DI UN’INVESTITURA

Ci troviamo costretti, nostro malgrado, a intervenire sulla ridicola querelle nata dalla pubblicazione di una innocente foto che ritrae il signor Martino Da Leva, cassintegrato di cinquantasei anni, che, vinto da una serata intensa di gobbini di vino rosso all’osteria “Le Bateau Ivre”, si addormenta beato proprio in prossimità dell’automezzo di Matteo Renzi, in gita promozionale a Empoli. Ora, vista l’incredibile somiglianza del Da Leva con l’ex-onorevole Massimo D’Alema, la miseria del dibattito politico italiano ha preso a pretesto questo triste spaccato di quotidianità urbana, per montare una polemica per certi versi emblematica. Quest’immagine ha tenuto banco per diversi giorni sulle testate nazionali, collegata alle lotte intestine nel partito post-stalinista cosiddetto di centro-sinistra, e rivela, come se ce ne fosse stato bisogno, la fumosità e l’inadeguatezza dei discorsi dei burocrati politici. I commenti sono stati ancor più, se possibile, raccapriccianti: “imbarbarimento della politica”, “uno dei punti più bassi”, parole di gente intristita dalla propria vita, che non ha più un pensiero aderente con la realtà. Sia chiaro: noi non teniamo né per il bucaniere del Mar Ionio, né per l’ex-concorrente della Ruota della Fortuna, suscitano in noi la medesima indifferenza; è stato solo un gioco, un’azione inutile che ci ha fatto sorridere e che ci ha provato ancora una volta come la nostra voglia di vivere non ci abbandoni, al pari delle vostre frustrazioni che vi hanno trasformato in grigi musoni paranoici, incapaci di trovare soluzioni alle vostre contraddizioni se non invocando un’improbabile repressione poliziesca in puro stile nazi-fascista. Pur essendo molto educati, non ci sentiamo in dovere di scusarci con nessuno, vogliamo anzi permetterci di darvi un consiglio per arginare questa epizoozia: fate come D’Alema, non candidatevi nessuno, la società civile ve ne sarà grata… Ascoltate i vostri desideri, la vita è ADESSO!

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LA GRANDE BEFFA DELLA DEMOCRAZIA

Nell’era del confusionismo più bieco e cinico, in un paese in evidente stato di decomposizione che adora la sua muffa come un idolo putrefatto, si svolgeranno come ogni anno delle elezioni, puntuali come una disgrazia e altrettanto nefaste. Tralasciando le analisi sull’effettiva utilità di questa pratica, o sulla concezione di democrazia, diventata ormai un obsoleto strumento di oppressione, tutte le parti in causa sembrano intenzionate a non voler governare, tutte ambiscono ad una comoda poltrona nelle file dell’opposizione per poter ricattare senza sporcarsi le mani ne compromettersi politicamente, in attesa di tempi migliori. Una campagna elettorale ridicola nella quale nessuno si azzarda ad avanzare una proposta, ognuno, comprese le nuove promesse della politica che di giovane hanno soltanto il dato anagrafico, si apposta sulla difensiva reagendo agli attacchi della controparte con infantile nervosismo, rispolverando dall’armadio pieno di scheletri della demagogia le facili soluzioni alle varie crisi ed emergenze alle quali ci hanno abituato, rimandando ad un futuro che non diverrà mai presente l’illusione di un benessere diffuso. I rimasugli della sinistra si sono lanciati a capofitto verso un legalismo ottuso e fondamentalmente reazionario, candidando giudici e sbirraglia varia nel disperato tentativo di suscitare la pietà degli elettori timorati di dio e della legge. Il sessuomane Berlusconi, ormai un personaggio patetico già pronto per il museo delle cere, che sembra diventato assai più stupido di chi lo ha sostenuto fino ad ora, si rifà vivo per salvaguardare le aziende di famiglia, incarnando la più orrida delle ideologie bottegaie democristiane. Un Grillo impantanato nelle paludi di un sistema che pensava di combattere, già più tranquillo e sicuro di essersi sistemato per la pensione. E poi il candidato della finanza, l’usuraio Monti, che in un modo o nell’altro riuscirà ad imporre la cultura del sacrificio, aiutato dall’antidiluviano Napolitano, per continuare ad alimentare questo sistema mafioso con i cadaveri del proletariato inconsapevole.
La distorsione del reale da parte degli apparati mediatici controllati dal potere è arrivata ormai a livelli insostenibili perfino per la stessa classe dirigente: basta camminare per le strade per accorgersi che le nostre città non sono né estremamente pericolose né perfettamente vivibili, come di volta in volta viene descritto sui mezzi d’informazione a seconda dell’opportunità politica del momento. Nel paese reale le città sono costituite di individui con mente e cuore, che amano, soffrono, sudano, lottano, vivono, muoiono: siamo noi le sole “anime salve” in questo paese di merda, alle quali il potere non ha mai regalato nulla , e ogni giorno, nonostante tutto, continuiamo a vivere, perché consideriamo la nostra vita l’unica possibilità di soddisfare i nostri desideri. Per quanto ci riguarda, il solo risultato che desterà la nostra attenzione alle elezioni sarà quello dell’affluenza alle urne: più sarà basso, più la nostra festa sarà rumorosa. Il nostro obiettivo è delegittimare il potere che, al di là delle retoriche teorie repubblicane, non ha mai rappresentato il volere del popolo, e diffondere la pratica dell’autodeterminazione e dell’immaginazione di ciò che è possibile, defilandosi dalla prospettiva di un sistema capitalistico che sta svelando irrimediabilmente la sua natura nazista. “Quando sopra le vostre teste le nuvole coprono il sole, ricordate che è sempre colpa del governo. Le elezioni portano la pioggia, la rivoluzione porta sempre il bel tempo” (Debord).

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UNA NAZIONE IN ANALISI

Il dato più sottovalutato dalla monotona informazione italiana, e per questo il più significativo, è quello sull’affluenza alle urne di queste inusuali elezioni politiche. Dopo decenni di dati stabili, con un “fisiologico” venti percento, c’è stato un deciso slittamento in avanti degli astenuti, nell’ordine dei cinque punti (senza contare un due-tre percento di schede bianche o nulle). Percentuale che potrebbe essere stata molto più alta se non vi fosse occorsa la variabile “cinque stelle” (che, come ricordava inconsapevolmente il Tirreno in questi giorni, non è la valutazione di un hotel, ma soltanto l’ennesimo restyling che lo spettacolo si concede attendendo la sua fine): molte persone, invece di disertare le urne e ascoltare i primi barlumi di critica radicale che stanno nascendo nel loro inconscio, hanno preferito votare il partito di Grillo, per “non andare contro il volere dei padri” o più semplicemente per qualche rimasuglio pedagogico sul diritto-dovere del voto. - A proposito: per chi sostiene ancora di dover andare a votare perché “molte persone sono morte per questo diritto”, ricordiamo che altrettante ne stanno continuando a morire, proprio perché ci ostiniamo ad eleggere questo circolo di mafiosi corrotti e incapaci (mentre stiamo scrivendo ci giungono notizie di un operaio morto all’Ilva a Taranto, e di uno sconto di pena ai dirigenti della TyssenKrupp: è proprio vero, mai fidarsi degli Ingroia…). Troviamo lusinghieri i commenti sull’ingovernabilità del paese, ed è questa l’unica gratitudine che riconosciamo ai “cinque stelle”: per il resto, abbiamo fondati motivi di credere che, alla resa dei conti nelle stanze del potere, i “cinque stelle” rimarranno stritolati dal sistema politico, pieno di guaglioni navigati e squali cinici assetati di denaro, e si verificherà un massiccio esodo verso destra o verso sinistra. L’unica strada che i “cinque stelle” dovrebbero intraprendere per rimanere coerenti con ciò fin qui detto e non dissolversi come una Lega Nord qualsiasi, è la graduale ma decisa estinzione dello Stato e di tutti i suoi privilegi: se non si muoveranno in questa direzione, verranno assorbiti dal sistema partitico e alle prossime elezioni, svanita l’illusione, si moltiplicheranno gli astenuti. Dovremmo gioirne, ma non è nostro costume campare sulle disgrazie altrui. Il fine giustifica i mezzi, ma a volte, i mezzi possono far cambiare il fine, come diceva qualcuno.
Viceversa, il dato più sopravvalutato, e per questo il più prevedibile, è quello che riguarda l’altro “clown”: chi è rimasto sorpreso dal risultato di Berlusconi (che comunque ha visto dimezzati i suoi voti) dimostra di non conoscere la storia d’Italia. Non si tratta di constatare l’ignoranza o il deprecabile “senso etico” di un popolo: chi continua a votare il pdl nonostante gli scandali, la corruzione o gli atteggiamenti ridicoli del suo padrone, è perché una parte d’Italia è così, è l’Italia dei vassalli e vassallini, degli “obbedisco”, del sostegno al fascismo, del servilismo democristiano, di quelli che montano sempre sul carro dei vincitori quando la battaglia è finita. Sono “quelli che benpensano”, che tornano a casa ed alimentano le proprie frustrazioni con una partita in televisione, che hanno paura di uscire la notte perché non saprebbero cosa fare, non perché c’è la criminalità: sono l’esercito di riserva dello spettacolo, quelli che sono riusciti ad annichilire i propri desideri e vivono la propria sopravvivenza proiettandosi verso le vedette spettacolari pensando di succhiarne un po’ di successo, sono il prodotto più riuscito dell’organizzazione sociale dell’apparenza.
Niente di interessante, invece, per quanto riguarda il pd, che di sinistra ormai ha salvato soltanto un pallido rosso, che sfuma tristemente verso il bianco e il verde. Sembra aver ereditato inoltre il burocratismo stalinista che ha sempre soffocato le istanze dei proletari di cui diceva di gestire gli interessi, nella prospettiva della salvaguardia di un capitalismo che lo sopportava come sua falsa controparte. Una considerevole fetta della sua cosiddetta “base” lo ha abbandonato, perché la sua menzogna è crollata insieme al Monte dei Paschi, e a decenni di governo delle istituzioni locali in cui non si sono notate differenze di metodo con il liberismo finanziario che sta sgretolando lo stato sociale.
Sorvolando su tutti gli altri (Vendola, Monti, Fini, Casini, Ingroia etc…, vittime del loro scarso appeal spettacolare), o sulle imbarazzanti prove dei partitucoli fascistizzanti, e in definitiva, lasciando perdere tutti questi commenti che ci interessano ben poco, vorremmo focalizzare il discorso su quello che più ci sta a cuore, cioè la dimensione sociale del paese, intesa come rapporti tra le persone. Abbiamo notato come, prima delle elezioni, ci fosse un generale silenzio riguardo l’argomento, se ne parlava malvolentieri, come di un compito da svolgere controvoglia, in un periodo in generale triste come una canzone dei Morphine, e per di più in inverno. Ciò riflette la situazione di depressione in cui versa la società italiana, in cui la classe media garantita si è risvegliata, dopo decenni di party, aperitivi, condoni, evasioni, senza un garante e con la paura di diventare come chi ha sempre odiato, cioè come chi gli puliva le stanze, come l’operaio sottopagato, meglio se immigrato, che con il suo surplus di lavoro mal retribuito gli permetteva di fare le vacanze d’agosto, come le prostitute che il marito andava a scopare per tenere unita la famiglia.
Dopo una vita votata al lavoro e alla produzione, monetizzando qualsiasi aspetto del reale e considerando inutile ogni azione non economizzabile, si sono ritrovati nel bel mezzo di una crisi che ha sconfessato tutte le loro certezze e gli ha rivelato la pochezza delle proprie esistenze, che si reggevano soltanto sulla menzogna di un benessere da ostentare come un facile trofeo. Anche da questo nasce l’epidemia di suicidi e gli assassini compiuti da “cittadini insospettabili” (ultimi in ordine di tempo gli omicidi di Perugia, fatto tanto grave quanto colpevolmente ignorato da una stampa timorosa di turbare la suscettibilità dei propri lettori, che si è adoprata soltanto nel trovare delle attenuanti al gesto di una persona nella quale si potrebbero riconoscere come potenziali emuli).
Il proletariato, dal canto suo, si è ritrovato tra l’incudine di un’esistenza di sfruttato, e il martello di una repressione con ogni mezzo delle proprie rivendicazioni. Quello che è successo a Genova nel 2001 sta ancora contraendo le azioni dei movimenti antagonisti, ed ogni volta che la rabbia per la propria condizione, non trovando una coerenza organizzativa, sfocia nel fatto violento, che sia di difesa o che sia di attacco, l’intellettualismo garantito cerca di esorcizzare la paura richiamando al pacifismo e al rispetto, continuando implicitamente a difendere il sistema che lo nutre e gli permette una vita agiata. Ma un sentimento di rivalsa sembra attraversare il paese, e ha radici più profonde di quanto riveli il mero risultato delle votazioni. E’ la rivalsa di una generazione nata nei condomini a tre o quattro piani al minimo, vissuti in case tutte uguali e con i soliti gusti ed interessi dettati da un mercato pubblicitario pervasivo, alla quale avevano promesso un mondo che è rimasto soltanto un’immagine, alla quale consigliavano di studiare il più possibile “perché sennò non troverai lavoro” (stiamo vedendo com’è andata a finire…). Una generazione che sta pagando con la propria precarietà i debiti di un liberismo che ha fallito per colpa della propria ingordigia, e che si sta mantenendo vivo grazie alla gestione mafiosa e usuraia dei propri interessi, aiutato in questo da uno stato di polizia che sta criminalizzando sistematicamente ogni parvenza di dissenso.




UNA STORIA GIA’ LETTA…

Alla fine della giornata del 1° maggio i sindacati, uniti nel cordoglio per la loro prossima dissoluzione, hanno dichiarato che “senza lavoro, il paese muore”, ammettendo implicitamente di non essersi accorti che fino ad ora nel paese si moriva ugualmente anche se c’era lavoro, anzi proprio a causa di esso. I componenti del paese, esclusi quelli che sono morti, i quali ormai non hanno più molto da dire, sono rimasti attoniti, affossati nel più completo scoramento: c’è chi ha provato a sparare, togliendosi senza dubbio qualche soddisfazione personale, ma senza grandi risultati; c’è chi continua, in modo parziale o assoluto, a tentare ogni giorno di aggirare  delle leggi reazionarie e aristocratiche, perché considera ancora la propria vita come qualcosa impossibile da delegare. E c’è anche chi, passata velocemente la sbornia grillina come la botta di un fumo scadente, si sta ravvedendo (vedi l’astensione di massa alle regionali in Friuli), e iniziando a rendersi conto di essere governato da intermediari finanziari stipendiati dalla Goldman Sachs, o da qualche altra associazione a delinquere di stampo capitalista. Ormai è rimasto ben poco da dire, soltanto la pratica possiede gli spazi inesplorati che conducono al raggiungimento dei desideri. La teoria si può ridurre a sottolineare le contraddizioni del sistema, come per esempio l’estrema spettacolarizzazione delle bombe alla maratona di Boston, mentre qualche migliaio di chilometri più sotto il terrorismo capitalista, nel silenzio della sua propaganda, produceva decine di vittime operaie per l’esplosione di una fabbrica di fertilizzanti in Texas. Abbiamo i mezzi e la consapevolezza per considerare questa democrazia per quello che è, un’assoluta menzogna, e agire di conseguenza: non permettiamo che un altro strumento qualsiasi della produzione spettacolare continui a nutrire il nostro rincoglionimento, riprendiamoci il nostro quotidiano, facciamolo almeno per un senso di onestà nei confronti della nostra intelligenza.


L’ANGOLO DELLA CULTURA

E’ attesa a breve la nuova fatica letteraria di Remigio Tristoni, dal titolo provvisorio de “Il guardiano dell’agriturismo”. Secondo indiscrezioni della prima ora, la storia è caratterizzata da marcate tinte erotiche, senza però perdere di vista il percorso di critica sociale già intrapreso con “Via dalla vita”. Come ha dichiarato lo stesso autore in un lapidario twitting dal profilo di un amico (“Ho serie difficoltà a sopravvivere… Bisogna battere il porno finchè è caldo”), alla base della svolta pornografica ci sarebbero impellenti necessità economiche, collegate probabilmente alla sua dipendenza dall’alcool.


L’ORRENDA FINE DEL CAPITALISMO

PROLOGO
TRE ATTI: I-SITUAZIONE DELL’INDIVIDUO
                    II-L’ANONIMA ASCESA
                    III-LA CADUTA E LA TRAGICA DISFATTA


Prologo

(Limiteresti la tua idea di futuro migliore ad un qualunque Escrivà tumefatto sulla forca?)
Il vecchio Progresso, seduto sulla porta di casa, inveisce contro i propri figli prostituiti,
nella cripta patriarcale le sue ossa scricchiolano come filigrana elettrica;
l’incauta Natura, con piante di stramonio, ne ha vergato l’immacolato crine,
dei destini mutilati rimangono ormai cumuli di rifiuti,
a intasare di polluzione le sue arterie fin troppo rammendate;
i solenni desideri, che un tempo scorrevano nei cuori scarlatti, subiscono oggi l’ennesimo temibile insulto:
l’imminente catastrofe li soffocherà con tempera pesante…

I-Situazione dell’individuo

Negli scantinati dell’anima si consuma ancora il dramma della solitudine,
una luce innaturale non crea ombre ma distribuisce terrore,
un altro libro sta per finire per il sarcastico logoramento del tempo,
e sembra, o è soltanto l’ennesima illusione, che una nuova fase di sorrisi inediti si stia aprendo.
Si offusca la ragione nell’inverno dei desideri, pieno di “simbolismi oscuri”:
ho dovuto rinnegare gran parte del mio passato per poter continuare a frequentare luoghi affollati di persone,
e non so quanto ne sia valsa la pena — tremo nello scrivere,
ho paura di quello che la prossima parola possa evocare,
anche i segni portano a galla ricordi che credevo morti come un piatto di funghi mal digerito;
le lettere si fanno cubiche, grandiose, assumo prospettive angoscianti,
sfumano verso il nero nelle metropoli silenziose.
I torbidi intrecci della casualità deprimono gli istinti, volti famigliari si susseguono,
spariscono, si scompongono e ritornano negli incubi della notte,
l’asettico paesaggio innevato si snoda immobile e ovattato: non esiste più natura,
i rumori si contrastano fino al volume zero di una realtà in discendendo.
L’astinenza di vita ha causato un illogica cancellazione delle capacità di socializzazione:
un malsano nichilismo mi obbliga ad imparare di nuovo regole di convivenza,
che mai dovrebbero perdersi e sublimarsi in ossessioni autodistruttive;
sono come un bambino appena nato in un mondo di adulti pretenziosi,
il fanciullino si muove goffamente e si intristisce vedendo i suoi giochi liquefarsi nella civiltà dei cannibali,
si sciolgono in magma denso e inquinato,
e confluiscono nella valle di cemento dove formano il mausoleo del sacrificio ludico;
il fanciullino prostrato di fronte alla propria infamante sconfitta,
piange lacrime di sangue e non reagisce pensando alla prossima delusione.
In un letto alto centinaia di metri, nel mezzo di un cielo cupo e freddo,
i fantasmi dell’insonnia e della colpa sostano gracchiando sulla sua testata,
gli occhi sono chiusi ma le immagini si materializzano ugualmente,
come in un beffardo scherzo metafisico in piena dittatura razionale:
sono facce tumefatte che urlano di dolore, un dolore grigio, indefinito, immotivato,
che non ha nessuna intenzione di essere lenito,
ma ingordo di difetti strutturali cerca nutrimento nella sua testa che non conquista più il sonno.

II- L’anonima ascesa

L’industria metalmeccanica si alza in piedi con le sue gambe-ciminiere e il suo ventre-magazzino,
senza volto cammina calpestando le aiuole e schiacciando le rock-band,
afferra un vagone merci e lo accende sbuffando da una finestra rotta;
la sua vittoria è completa, chi mai avrà il coraggio di contrastarlo,
visto che gli eroi dei fumetti sono troppo impegnati a fare film per Hollywood.
I grandi volatili meccanici colpiscono i cacciatori a terra,
 il mostro di mattoni cotti si nutre delle loro carcasse in un lugubre aperitivo,
scricchiolante di ossa e bagnato di globuli rossi  —
gli altri avventori del bar sembrano indispettiti,
un disgustoso inconveniente che stride con le loro pose cinematografiche e la loro patetica lussuria;
il mostro marrone, accortosi del loro palesar dissenso,
gli spiega che il loro sacrificio di ormoni e carni da cannone ha creato quella figura,
irritante ma necessaria per i loro precena alcolici.
A quel punto le comparse della realtà estraggono fuori dai loro portafogli di pelle
le carte di credito scintillanti nel clima natalizio, urlando: “Non abbiamo bisogno di te!”;
il mostro, senza tanto sfoggio di spirito democratico,
abbassa la sua mano-segreteria su di loro, uccidendoli all’istante, assumendoli con un contratto a progetto.

III- La caduta e la tragica disfatta

Il mostro d’acciaio, corazzato di silicio, continua nelle sue lusinghe elettriche,
installando illusioni fluorescenti ai primi piani dei palazzi residenziali,
e infarcendo le sue stanze di materiale plastico decadente;
ricostruisce un paradiso desolato dentro scatole digitali,
di diversa forma e colore ma rigorosamente predeterminate;
rifornisce di invitanti cocktails clorofluorocarburici i propri sudditi inebetiti.
Ma una malsana debolezza si insinua nella sua costituzione architettonica,
e i suoi padri glielo avevano pur detto:
sempre meno persone si affollano nei suoi santuari a render grazie alla sua magnanimità,
e sempre meno vitelli grassi vengono sgozzati sui suoi altari.
Con la violenza della morte obbliga chi rimane vivo a sottostare al suo imperio,
ma la sua forza si fa sempre più labile e la sua voce di carta è sempre più roca.
Barcollando si reca nei luoghi dove si stanno svolgendo i suoi funerali,
e osserva gioire i suoi esiliati di situazioni che non prevedono la sua presenza:
armonie sublimi, canti deliziosi, cibi succulenti, vini inebrianti,
donne e uomini nudi che non seguono alcuna moda, castelli senza nessuna protezione,
colori vividi e forme irrazionali, fanciulli divertiti e spettinati.
Nel presagire la propria disfatta, il mostro di macerie, senza il minimo rimpianto,
guidato dall’accidia e dall’egoismo che lo hanno eroso,
si lascia cadere sui suoi figli ribelli sperando di sterminare l’umanità  —
ma la caduta è lenta, innocua, prevedibile, inutile;
il mostro ha il tempo di rivedere tutti i suoi errori, dei quali ovviamente non chiederà il perdono.
Quando il suo cadavere giacerà nei sottosuoli archeologici,
il resto del mondo sarà di nuovo un luogo dove poter vivere,
i mostri saranno soltanto personaggi di racconti arcaici,
evocati per spaventare scherzosamente i bambini nelle notti d’estate,
quando distesi in riva al fiume vedremo la notte sorridere nel profumo dei corpi liberati.




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